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di Giuseppe Platone

il pastore Alberto Taccia (foto Romeo/Riforma)

Sabato 30 aprile: la telefonata del direttore di Riforma, che mi annuncia della morte del pastore valdese Alberto Taccia, mi raggiunge mentre stiamo tornando – con un gruppo di una quarantina di persone – a Milano da Centallo (Cuneo). Si era da poco conclusa la nostra visita all’antica bottega artigiana dei Vegezzi-Bossi che sta restaurando il nostro vecchio organo Balbiani del 1952. E, per una strana coincidenza, proprio in quelle ore avevo pensato ad Alberto, all’amore che lui mi aveva trasmesso – quando ero ancora un giovane pastore – nei confronti di quella straordinaria «macchina per la musica» che è l’organo. Ma la musica è stata solo una delle forti passioni che hanno animato la vita di Taccia.

Lunedì 2 maggio, in occasione del suo funerale, una folla commossa ha gremito il tempio di Luserna San Giovanni. Il diacono Dario Tron, con profondità ed essenzialità, ha commentato il brano che Taccia stesso aveva scelto per questo congedo: «Grida che ogni carne è come l’erba e che tutta la sua grazia è come il fiore del campo...» (Isaia 40, 6). Sotto il pulpito c’è Luisella (sulla sedia a rotelle): l’attiva compagna che ha pienamente condiviso il ministero pastorale di suo marito. Ci sono i quattro figli: Claudio, Enrico, Paola e Daniela, con i loro famigliari. Taccia si è spento a 88 anni, dopo un declino di circa quattro anni, circondato dal loro quotidiano affetto e dalle loro cure premurose. Ma l’affetto per lui supera la stretta cerchia famigliare, come la partecipazione stessa al funerale ha ampiamente dimostrato. Il pastore Eugenio Bernardini, moderatore, ha espresso il cordoglio della Tavola. E ha quindi ripercorso il lungo e attivo ministero di Taccia, che si è svolto prevalen temente nell’area geografica delle valli valdesi e di Torino.

Nato a Torino il 7 novembre 1927, dopo gli studi alla Facoltà valdese e le esperienze di praticantato in varie chiese, inizia a lavorare alla chiesa valdese di Verona (1955-60). In quegli anni diventa anche segretario del la gioventù valdese (FUV), per poi venire eletto alla chiesa di Angrogna, dove resterà per 11 anni. Successivamente sarà eletto pastore alla chiesa di Luserna San Giovanni, dove eserciterà per 9 anni. L’ultima tappa lo vedrà a Torino, anche questa volta per un lungo e fruttuoso ministero di 14 anni, cui si aggiunse ancora un anno per consentirgli di entrare in emeritazione all’età di 68 anni. Bernardini ha anche ricordato gli anni in cui egli stesso aveva lavorato a Torino con il pastore Taccia, sottolineando la sua capacità organizzativa, la chiarezza di idee e la forza dei suoi convincimenti: un uomo sempre aperto al confronto franco e diretto, senza sconti. Una vera dialettica quella che accendeva Taccia, con una capacità argomentativa la cui forza, però, si accompagnava sempre al rispetto delle opinioni altrui.

Alberto Taccia è stato anche l’uomo della riorganizzazione della diaconia nella nostra chiesa. Ben prima che nascesse la Commissione sinodale per la diaconia (CSD). È stato presidente della CIOV, l’istituto giuridico che si occupava degli ospedali valdesi. Nei suoi ultimi anni, fuori dal recinto ecclesiastico, ha dato vita in val Pellice a un’associazione denominata «Arcobaleno», che si occupa di persone con problemi psicologici e sociali. Importante – come ha ricordato Eugenia Ferreri – è stato pure l’impegno ecumenico, che Taccia ha svolto con grande passione. Dobbiamo molto a lui anche per il varo del Testo comune per un indirizzo pastorale per i matrimoni interconfessionali: un documento sottoscritto dalla Tavola valdese e dalla Conferenza episcopale italiana. L’elenco dei suoi incarichi in commissioni di lavoro raggiunge quasi la trentina di voci. Tra queste, figura l’incarico nella Tavola valdese, di cui è stato vice-moderatore dal 1978 al 1983.

Quando usciamo dal tempio, in una fresca e luminosa giornata primaverile, ci salutiamo e ci fermiamo ancora, noi tutti che abbiamo apprezzato Alberto e a volte abbiamo anche discusso animatamente con lui. Taccia era comunque un innovatore e amava, vorrei dire «esageratamente», la sua chiesa. Nella folla ci sono alcuni pastori emeriti e altri che l’hanno conosciuto bene: membri delle chiese di Angrogna, Torino e soprattutto della sua Luserna San Giovanni, in cui ha risieduto una volta emerito e a cui negli anni ha offerto impulsi straordinari per la rinascita dell’Asilo valdese per persone anziane. Nel raccontare dell’opera di Alberto, citano una sua frase: «Noi non siamo chiamati a costruire il Regno, che è di Dio, ma a esserne testimoni». Un’affermazione proprio conforme a lui, al modo in cui ha vissuto la sua vocazione. Perché Alberto Taccia, con quel suo stile inconfondibile, non privo di ironia e battute taglienti, ha davvero testimoniato del Regno, nostro orizzonte di fede. Un fremito ha percorso tutti noi, un sentimento di riconoscenza al Signore, per averci dato un fratello che ha speso tutto se stesso nella causa cui noi stessi crediamo. Quella vocazione che il Signore ha rivolto a noi, ci sia dunque dato di viverla con la medesima fiducia, tenacia e capacità innovativa che Alberto Taccia ci ha mostrato e che oggi lascia in eredità a chiunque voglia raccoglierla.

Tratto dal settimanale Riforma del 13 maggio 2016