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di Giuseppe Ficara

La celebrazione del Venerdì Santo non può prescindere dalla Pasqua. Non si tratta di due eventi distinti che vivono di vita propria, uno indipendentemente dall’altro. La morte di Gesù sulla croce avrebbe solo un messaggio chiaro: Gesù fallisce, la sua predicazione è invalidata, Gesù è respinto da Dio e dagli esseri umani.
Per questo i suoi discepoli lo abbandonano: perché la croce è, in sé, il segno dell’ira di Dio, è ignominia, vergogna. Per questo il gruppo dei discepoli si disperde e qualcuno rinnega di essere perfino stato con Gesù e di averlo conosciuto.

Pasqua non è neppure da intendere come la riparazione del danno provocato dalla croce il Venerdì Santo. I due eventi, insieme, ci danno la comprensione della rivelazione di Dio: in Gesù, Dio stesso è presente in maniera semplicemente unica perché l’amore di Dio diventi per noi comprensibile e accessibile.
Pasqua getta una luce sulla croce.

La croce, da sola sarebbe intesa come una catastrofe, ma alla luce della risurrezione del Cristo scopriamo che la potenza di Dio è, invece, esaltata precisamente nello scherno della croce.
Pasqua spiega il senso del Venerdì Santo.

L’incontro dei discepoli con il Risorto rivela loro che Dio si dichiara a favore del Crocifisso.
Pasqua è quell’azione di Dio che indica la croce.

Qui il Risorto rivela tutto l’amore del Padre, e Pasqua impedisce di fermarsi alla debolezza e all’impotenza della croce. Tuttavia, Dio è così grande che si rivela a noi come il più piccolo, è così alto che può essere il più basso, è così ricco che può spogliarsi di tutto, è il Signore sovrano che ci viene incontro come servo.

Questo è Dio: l’Onnipotente che liberamente sceglie di abbassarsi ed essere impotente come noi, per venirci incontro con il suo amore soverchiante. Questa storia di morte e risurrezione, di Venerdì Santo e Pasqua, è l’evento centrale della fede, il messaggio che ci permette di riempire di significato il nostro presente e, oltre, di vedere un futuro di speranza.

24 marzo 2016