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di Eugenio Bernardini, moderatore della Tavola Valdese

La prima visita di un papa, in oltre ottocento anni, alla Chiesa valdese è un fatto che, per quanto abusato, merita l’aggettivo “storico”. Il fatto che questa visita avvenga nella cornice del tempio di Torino – il primo che i valdesi poterono costruire (nel 1853) nella capitale del Regno che aspirava unire l’Italia intera, e dunque fuori dal “ghetto” delle valli del Pinerolese in cui erano stati costretti a rifugiarsi – suggerisce anche l’aggettivo “significativo”. Varcando quella soglia, papa Francesco tende la mano a una comunità di “eretici” che hanno pagato un duro prezzo alla coerenza della loro fede. In questo senso crediamo che questo gesto assuma un “significato” più generale, non soltanto per i valdesi e gli altri evangelici.

Dopo quella ebraica, quella valdese è la comunità di fede di minoranza di più antico radicamento in Italia; negli anni delle crociate e della Controriforma ha subito persecuzioni che l’hanno costretta a un temporaneo esilio; negli anni in cui si costruiva l’Italia unita è stata la prima confessione non cattolica a ottenere i diritti civili per i suoi membri. Negli anni della Resistenza, molti valdesi salirono sulle loro montagne per difendere non solo la loro libertà, ma quella di tutti gli italiani e di tutte le italiane; così come nel dopoguerra furono in prima fila a rivendicare il pieno diritto alla libertà religiosa e alla laicità dello Stato tutelata dalla Costituzione repubblicana. In tempi più recenti, la Chiesa valdese si è trovata unita ad affermare, anche in controtendenza e talora in contrasto con la Chiesa cattolica, principi di libertà di coscienza e diritti civili negletti o trascurati, sino alla stipula della prima Intesa con lo Stato nel 1984. Questa storia Papa Francesco la conosce bene, e per questo riteniamo che la sua visita abbia un significato che trascende l’omaggio a una Chiesa evangelica: è l’incontro con una componente spirituale e culturale della società italiana che, per quanto piccola, ha cercato di contribuire alla crescita morale e civile del Paese.

Entrando in una chiesa valdese, papa Francesco mostra di riconoscere quel pluralismo delle religioni e delle culture che altri – che spesso cattolici non sono o lo sono soltanto nelle “feste comandate” – avversano nel nome di presunti valori tradizionali. E lo fa nel suo linguaggio, quello di un pastore e di un credente che tende la mano ai suoi fratelli e alle sue sorelle nella fede. Questo è quello che la visita di papa Francesco dice a noi valdesi ma crediamo anche a tutti gli italiani: a chi crede, a chi non crede e a chi crede in termini non convenzionali.

Quanto a noi, lo accoglieremo come un fratello in fede, con la sobrietà che ci contraddistingue ma anche con il calore di chi apprezza le parole e i gesti di un papa che ha detto e fatto cose importanti nel rapporto con le altre religioni, che mostra di saper ascoltare anche gli ultimi, che ci ha appena consegnato un testo di grande intensità sull’etica verso il creato e le risorse che esso contiene. Gli diremo ciò che già ci unisce e gli ricorderemo quello che ancora ci divide. Ma intanto, insieme, avremo fatto un passo in avanti sulla strada dell’ecumenismo.

Tratto da La Stampa del 21 giugno 2015