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di Gianni Genre

Come in altre nostre chiese, a Pinerolo, le donne rappresentano semplicemente l’ossatura della comunità. Aldilà dell’Unione femminile, che è tuttora una delle attività meglio organizzate e più frequentate (e la cui costituzione risale al 1902!), sono loro l’anello forte del tessuto comunitario.

Nell’assemblea di chiesa del novembre del 1903, dopo che il sinodo di quell’anno invitò a concedere alle donne il diritto di voto nelle assemblee (mentre ricordiamo che le donne italiane si videro riconoscere quel diritto solo nel 1948!), molte sorelle di chiesa parteciparono a quel momento decisionale. Non sapevano che sarebbero passati molti anni prima che una donna sedesse in concistoro: era infatti il 1969 quando Vera Long venne eletta anziana della nostra chiesa. L’anno seguente un’altra pinerolese amica di Vera, Marcella Gay, divenne la prima donna eletta a far parte della Tavola valdese e pochi anni dopo, nel 1986, Bianca Armand-Hugon divenne presidente del concistoro pinerolese.

Vera aveva un carattere assai forte, oggi diremmo che era “una tosta”, e non si tirava mai indietro rispetto al prendere posizione su qualsiasi argomento. Ma, aldilà degli incarichi nella chiesa, Vera ha inteso rispondere alla vocazione del Signore con una modalità particolare, con un vero e proprio ministero, che è stato quello del rendere visita agli ammalati. Per trent’anni, praticamente ogni giorno, si è recata in ospedale a visitare le persone in qualche modo collegate alle nostre chiese e all’evangelismo italiano. Con una perseveranza, una tenacia, che sorprendeva chiunque.

Il prof. Sergio Rostagno, in una recente predicazione, ha ricordato il tempo in cui era pastore a Pomaretto e si recava all’Ospedale Civile per visitare gli ammalati della sua chiesa. Sempre vi trovava Vera, che segnalava nomi e necessità di tutti i ricoverati e che “dava sicurezza” anche ai pastori e alle pastore, che potevano sapere che qualcuno – ogni giorno – era “sul campo” a svolgere il servizio prezioso delle visite ai malati. Chiedeva ai ricoverati se avessero necessità di qualcosa, interloquiva quando le persone avevano piacere di chiacchierare un momento; poi ripartiva. Con discrezione, senza alcuna forma di ingerenza o di paternalismo. Il gruppo di visitatori e visitatrici che ancora oggi continua a rendere il suo servizio è stato una sua creatura.

Vera è stata così un’interprete della diaconia evangelica per tre decenni, senza chiedere riconoscimenti. Aveva semplicemente compreso che il tentativo di vivere un frammento di ciò che ci chiede Gesù nel grande affresco sul Giudizio in Matteo 25 è sufficiente a dare risposta ad una vocazione e ad un’esistenza. Vera aveva mille domande sulla fede, come ognuno di noi, ma è rimasta al suo posto sapendo che il volto di Cristo si può scorgere solo nel volto di chi ha fame e sete, o di chi è prigioniero e nudo, o di chi è ammalato; una sola di queste “disponibilità” è già un programma di vita. Credo che l’avere rintracciato la presenza di Cristo sotto le spoglie delle innumerevoli persone ammalate nel corpo e nelle spirito che ha incontrato abbia sostenuto Vera anche dopo la morte di Gianni, il suo unico figlio.

A distanza di pochi mesi, dopo il congedo da Graziella Bessone Fornerone, altra colonna della chiesa con incarichi molteplici al suo interno, ci sentiamo più poveri. Ma non cediamo all’incredulità che vorrebbe farci pensare che queste figure siano insostituibili. Ricordarle significa piuttosto cercare di raccogliere l’eredità che ci hanno lasciato queste sorelle maggiori che adesso abitano nel cuore della promessa di Dio.

26 gennaio 2015