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di Luca Prola

I figli d’Israele dissero al Signore: “Abbiamo peccato; facci tutto quello che a te piace; soltanto, te ne preghiamo, liberaci oggi!”.

Giudici 10:15

L’esattore delle tasse, invece, stando in piedi lontano, non osava alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “Dio, abbi pietà di me peccatore”.

Luca 18:13

I due testi scelti per oggi hanno in comune il rapporto tra il “peccato” e la “libertà” donata da Dio. Diciamolo pure, “peccato” e “libertà” sono due parole piuttosto fraintese, se non in disuso, nel tempo nel quale viviamo; oggi siamo notoriamente bravi e scaltri a trovare giustificazioni su misura per ogni nostra mancanza. Così, non solo il termine “peccato” perde di senso ma anche il rapporto con Dio si svilisce di significato.

In effetti, se non possiamo fare nulla per migliorarci, se non commettiamo nessun peccato verso Dio perché le nostre mancanze non sono frutto di disattenzione, egoismo e sfiducia ma sono connaturate a noi stessi e se è inutile provare a cambiare, non serve nemmeno farsi coinvolgere nel progetto che Dio ha per noi e per il mondo. Se è impossibile migliorare, diventa solo una fatica inutile l’invito al cambiamento al quale la Scrittura ci chiama.

L’altra parola chiave che oggi ci guida è “libertà”. Per noi moderni “libertà” significa più o meno “fare quel che ci pare”; qui no, qui “essere liberi” significa vivere pienamente la propria vita sotto lo sguardo amorevole di Dio, coscienti del nostro peccato e delle nostre mancanze, ma anche del Suo perdono e della Sua speranza nei confronti nostri e del mondo.

Allora è vero: “libertà” e “peccato” sono parole incompatibili con il mondo moderno e la Bibbia è obsoleta. Ma chi sta leggendo queste righe forse si sente ancora chiamato e invitato a “guardare oltre”, forse la Parola di Dio germoglia ancora e la Sua pazienza – che non smette mai di seminare speranza nei nostri cuori – è premiata ancora una volta.

I due versetti di oggi ci invitano a recuperare il nostro posto nel mondo e nel rapporto con Dio, non a fare quello che la società ci impone.