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di Marco Fornerone

"Nessuno mette vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino fa scoppiare gli otri, e il vino si perde insieme con gli otri; ma il vino nuovo va messo in otri nuovi".

Marco 2,22

Con queste parole, Gesù illustra il motivo per il quale i suoi discepoli, coerentemente con il suo insegnamento, si sentono liberi di non praticare il digiuno, a differenza dei gruppi loro più simili nel giudaismo del tempo, i seguaci di Giovanni il Battista e i farisei. L’argomento del dibattito è dunque un aspetto della pratica religiosa che è pienamente legittimo, anzi raccomandabile, ma l’Evangelo costituisce una novità tale da motivarne l’abbandono: una realtà radicalmente nuova non può essere adattata a una forma vecchia, pena la sua perdita. Allo stesso modo, non è sufficiente un rinnovamento superficiale, un imbellettamento, che non giunge a modificare la realtà delle cose e rischia anzi di fare peggio, come per la toppa di tessuto nuovo posta su un vestito vecchio di cui Gesù parla nel versetto precedente.

Dietro agli anonimi interlocutori di Gesù nel testo, ci siamo però noi lettori e lettrici, che veniamo interrogati sulla nostra pratica religiosa. In che modo? Potremmo ritenere che il necessario cambiamento sia già avvenuto nel passato, con la chiesa delle origini oppure con la Riforma, sottolineando come la forma che abbiamo ereditato o riscoperto si presenti come radicalmente nuova e alternativa alle forme delle religiosità e delle culture umane. Allo stesso modo, non possiamo non prendere sul serio la difficoltà che la maggior parte delle persone sperimenta nell’attingere ai nostri cari otri. In questo inizio di nuovo anno, autorizzati da queste parole di Gesù, possiamo prenderci la libertà di osare forme completamente nuove, per non lasciare nessuna persona digiuna dell’Evangelo!