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di Erica Sfredda

"Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora? Ma se speriamo ciò che non vediamo, l'aspettiamo con pazienza”.

Il passo di Paolo affronta, con rara potenza, il cuore stesso della nostra fede, del nostro travagliato rapporto con Dio e ci accompagna dalla disperazione provocata dalla nostra sofferenza fino alla speranza della nostra redenzione. Ma come si può giungere alla speranza, se si è totalmente circondati dalla disperazione? Oggi più che mai la vita ci appare tremenda e angosciosa: nel corso della nostra storia bimillenaria abbiamo infatti ucciso e massacrato uomini, donne, bambini e talvolta siamo arrivati a sterminare intere popolazioni, abbiamo assistito in silenzio alla tratta degli schiavi africani, all’annientamento dei nativi americani, alla Shoah; abbiamo sfruttato e depredato l’ambiente che ci circonda, siamo vicini alla sua distruzione. Mai come ora ci pare di poter affermare che non abbiamo più speranza.

Ma Paolo ci incoraggia ad avere pazienza, a renderci consapevoli che la speranza non è qualcosa che noi possiamo vedere e tanto meno costruire con le nostre povere mani: possiamo solo attenderla con fiducia. In ciò è la nostra fede: essa in realtà non ci appartiene, ma può possederci ed entrare in noi nel momento stesso in cui accogliamo nel nostro cuore e nella nostra vita il totalmente Altro, Colui che solo può consolare la nostra disperazione e trasformarla in speranza.