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Roma, piazza San Pietro

Sì, sono rimasto molto sorpreso, due volte sorpreso. La prima volta all’annuncio delle dimissioni di papa Ratzinger, perché un conto è ammettere in linea teorica anche per un papa romano la possibilità del ritiro in pensione, altro è metterla in pratica. Benedetto XVI ha messo tutti di fronte al fatto compiuto – come un papa è abituato a fare! – con una libertà e un coraggio da lasciare stupiti. Il suo predecessore, lo ricordiamo, aveva fatto la scelta opposta, quella tradizionale, di rimanere al suo posto anche di fronte all’evidente impossibilità – per la sua malattia e la tarda età – di svolgere il suo ruolo, alimentando l’ideologia della sofferenza vicaria del papa-"vicario di Cristo".

Sono rimasto sorpreso una seconda volta ascoltando le prime parole di papa Francesco, i suoi primi atti, di valore essenzialmente simbolico, e poi affermare che la scelta del nome Francesco _ un nome che nessun papa prima di lui aveva osato o voluto scegliere – dipendeva proprio dal volersi richiamare a quel Francesco a cui tutti avevamo pensato, a Francesco d’Assisi. Elementi che andavano ben oltre le più rosee previsioni anche del più scettico degli osservatori, quale io mi considero.

A quel punto ho pensato che dovevo scrivere al papa, e l’ho fatto, anche per ricordargli che Valdo di Lione, l’iniziatore del movimento valdese, fu un contemporaneo di Francesco e che con lui condivise l’idea di una chiesa al servizio degli umili e degli esclusi, ispirata e rinnovata dalla Parola di Dio. Se quella è la strada che papa Francesco vuole percorrere, noi non possiamo che condividerla e sostenerla.

Certo, dopo i primi giorni pieni di segnali premonitori di buone intenzioni, bisognerà valutare le scelte concrete che compirà il papa venuto da lontano, dall’Argentina, dove ha conosciuto personalmente la chiesa valdese di laggiù e vari nostri pastori. Li riconoscerete dai frutti, insegnava Gesù. Ora noi ci attendiamo frutti di buon governo, di trasparenza, di povertà, anche dell’istituzione romana, di riconoscimento dei valori di tolleranza e pluralismo, di riconoscimento della fragilità di ogni essere umano e di ogni pensiero umano, compreso quello teologico, rinunciando a ogni pretesa di infallibilità o di superiorità.

Ci aspettiamo che papa Francesco, certo non da solo, sappia cambiare anche il papato, riformandolo radicalmente e trasformandolo dal più formidabile ostacolo per l’ecumenismo e per la concezione collegiale della chiesa, quale ora è, in un ministero al servizio della riconciliazione e della pace. Valdo di Lione e Francesco d’Assisi aspiravano a questo, così come vi hanno aspirato tutti i riformatori della chiesa cristiana d’Occidente, Lutero compreso. Insomma, un papa senza il papato? Perché no?

Eugenio Bernardini

28 marzo 2013