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di Sabina Baral

Incontriamo la pastora Claire Sixt-Gateuille che da un anno ha assunto l'incarico di responsabile delle relazioni internazionali per la Chiesa protestante unita di Francia. Con lei proviamo a fare il punto su alcune questioni che coinvolgono il dibattito ecumenico internazionale oltre che la vita culturale e spirituale delle nostre chiese.

Secondo lei quella che stiamo vivendo è ancora una fase di secolarizzazione o ci troviamo nella post secolarizzazione? C'è oggi una rinnovata ricerca di Dio o più genericamente un nuovo bisogno di religione? Le due cose non mi paiono equivalenti.

Claire Sixt-Gateuille

In Italia si assiste a una secolarizzazione come reazione alla presenza costante della Chiesa cattolica. In Francia, invece, ci troviamo in piena post-secolarizzazione, vale a dire una fase in cui le persone non dispongono più di una cultura biblica e teologica. Questo fenomeno si verifica da almeno due generazioni, benché leggere la Bibbia risulti fondamentale per comprendere l’arte e la cultura. Lo stesso fondamentalismo è una prova di questo clima post secolare: esso è una caricatura della religione, una religione prêt-à-porter.
Quello che riscontro è che le persone hanno bisogno di senso e questo bisogno cela spesso, in realtà, una richiesta di sicurezza. Ma questo non è certo il modo migliore per accostarsi alla religione; per me l’approccio ad essa non può che scaturire dalla fede, dall’incontro con uomini e donne che si confrontano con la Parola di Dio.
Ci sono delle vere e proprie patologie, o delle nevrosi, della fede: occorre liberarsi dalle falsi visioni di Dio e per questo serve un grande lavoro pastorale e di cura d’anime.

Quando progettiamo le nostre chiese di domani (le loro strutture e strategie), dobbiamo tener conto della loro storia e identità o più delle persone che vogliamo raggiungere con la nostra testimonianza?

Le chiese hanno una loro identità che è fatta di abitudini, di riti che si rinnovano. Diverse sono le modalità nella liturgia o nel lodare Dio. Ma è questo che costituisce veramente l’identità di una chiesa? Per me l’identità si fonda sull’essere una comunità costituita da figli di Dio, che si nutrono della sua Parola. Se c’è un’identità della Chiesa, essa risiede nell’Evangelo. Nella teologia luterano-riformata la Chiesa è «seconda»: non secondaria, perché è essenziale, ma seconda. Prima viene la Parola che interpella la Chiesa. Si tratta innanzitutto di avere fiducia in Dio più che nelle nostre abitudini: è un processo difficile ma aiuta a capire meglio se stessi e gli altri che ci troviamo di fronte. Certo è un lavoro che va svolto insieme, in un clima di accompagnamento e condivisione, mai da soli.

Il Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) spende molte energie nel favorire l'unità nella differenza per rispondere alla sua vocazione. Su quali punti fermi dovrebbe esplicarsi questa comunione di intenti?

Ho una certa difficoltà, in questa fase, a capire la politica del CEC. Questo non significa che la giudichi negativamente. Esso si trova su un crinale: essere una grande ONG cristiana come tante o una comunità di chiese in quanto strutture. E al momento mi sembra che stia imboccando la prima strada.
Quello che mi interroga molto è l’attenzione che il CEC rivolge al tema ormai trentennale della giustizia e della pace. Non dico che questo non rientri fra i compiti delle chiese ma bisognerebbe anche confrontarsi con altri argomenti come quello della secolarizzazione o della riconfigurazione del panorama religioso.
Per quanto riguarda la riflessione del CEC sui diritti, bisognerebbe tenere come punto fermo ciò che il CEC chiama "lotta per la vita", cioè i diritti fondamentali che garantiscono la possibilità per tutti e tutte di vivere. Questa universalità deve essere salvaguardata. Il problema è che da qualche tempo in Europa abbiamo a che fare con una cultura consumistica, e con la pubblicità, che stanno determinando la nascita di nuovi diritti un po’ per tutto, come a voler affermare una sorta di garanzia inalienabile. Per me questa è una specie di prova del fatto che le persone in realtà non si sentono affatto libere. Invece la fede in un Dio che libera ci permetterebbe di non affannarci a reclamare, di fronte alla società, questo o quel diritto...

Le Chiese europee sono sempre più sollecitate a esprimersi in merito a questioni etiche, dalla bioetica all'evoluzione della famiglia, con il rischio da un lato di cadere nei tecnicismi specialistici e dall’altro di vedersi mettere in un angolo, come soggetti che al più si occupano del privato degli individui. Come dovrebbero reagire le chiese?

L’etica sembra essere in primo luogo una questione per specialisti. Ma questa insistenza sui temi dell’etica è un artificio. I media e la politica sollecitano le chiese a pronunciarsi in merito ai temi bioetici o all’eutanasia, ma di fatto le relegano in un angolo come se la fede e la religione fossero solo un fatto privato: ai media e alla politica il fondamento che viene dall’Evangelo non interessa. Invece la fede e Gesù Cristo ci parlano proprio della vita, della vita in generale, e non solo del concepimento o del fine vita. Le chiese hanno come compito di annunciare la vita dal primo istante fino alla morte.

Allora, su quali ambiti della nostra vita le chiese potrebbero prendere un’iniziativa evangelicamente caratterizzata?

Su tre punti le chiese dovrebbero continuare a far sentire la loro voce:
1) Intanto la croce e la resurrezione, affermando il principio della grazia incondizionata, rimettono in questione l’ideologia del successo, che chiama ognuno a «sentirsi realizzato», lasciando nel fossato quelli che non ce la fanno; c’è sempre più difficoltà per esempio ad accettare che possano nascere dei bambini con disabilità. Invece dobbiamo affermare che ognuno ha non solo il diritto di vivere, ma ha diritto a vivere nella consapevolezza di portare qualcosa alla società e non di essere un peso per essa. Tutti sono figli di Dio e dunque testimoni del suo amore.
2) La croce e la resurrezione rimettono in questione le logiche consumistiche, che si esplicano nella creazione di nuovi bisogni e nella colpevolizzazione (non sei all’altezza, ma puoi riabilitarti acquistando e consumando). Ora, contro il senso di colpa la fede afferma il perdono. Inoltre, avere una relazione con Dio ci permette di tenere a distanza tutti i bisogni consumistici indotti.
3) La croce e la resurrezione rimettono in questione la cultura mediatica, basata sull’immediatezza e la ricerca di una gloria transitoria, che si ottiene magari venendo ripresi in tv per qualche minuto: noi solo a Dio riteniamo di dover rendere gloria, essendogli fedeli. Ci vuole del tempo, non se ne vede subito il risultato, ma ne vale la pena: si tratta di partecipare all’opera di creazione del Signore che continua nella nostra epoca.

Ecco, su questi temi occorre fare un discorso pubblico di resistenza, e la nostra forma di resistenza è la testimonianza personale, a parole e in atti concreti, che deve nutrirsi della lettura della Bibbia, personale e comunitaria. Con questo obiettivo la nostra cerca di essere una chiesa di testimoni, per cui abbiamo dato vita alla Chiesa protestante unita di Francia: non saremo noi con i nostri numeri a vincere la logica dei media, ma si può cominciare a cambiare la cultura delle persone che sono intorno a noi, testimoniando della pace che ci è stata portata da Cristo.

26 agosto 2014