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di Daniele Garrone

Mario Miegge (foto Riforma/Romeo)

E' troppo presto per tracciare un bilancio dell’eredità di Mario Miegge. Ora è il tempo del vuoto per la perdita di un intellettuale fine e rigoroso; di un interlocutore pungente e sensibile al tempo stesso; di un appassionato sostenitore della sfera pubblica come luogo di interazione, nella polis, di discorsi volti alla ricerca di un migliore assetto della consociatio umana, sempre minacciata da tirannidi; di un valdese appassionato e critico; di un compagno di tante battaglie; per molti di noi, di un amico. La sua vita può essere innanzitutto descritta in base alle sue «scelte professionali», alla professione che proprio lui ci ha sempre ricordato essere «vocazione».

Nato nel 1932, dopo la laurea all’Università di Roma La Sapienza, fu docente al liceo classico di Avezzano e all’Università di Urbino, per poi divenire professore ordinario di Filosofia teoretica all’Università di Ferrara, che lasciò con il titolo di emerito. Qui fu, tra l’altro, tra i fondatori, e poi preside, della Facoltà di Magistero (ora «Lettere e filosofia»). Miegge non è stato solo un accademico nel senso alto e nobile del termine. «Per cinquant’anni, ho fatto parte di organizzazioni sindacali e di sodalizi politici... in cui il «senso comune» si esprimeva in una prospettiva storica... una vicenda di vita, personale ma anche ampiamente comune ad altri coetanei e compagni» (Coscienza storica, 9). La sua è stata anche la vita, come si sarebbe detto un tempo, di un «militante», dalla partecipazione al gruppo dei Quaderni Rossi alle due legislature come consigliere comunale a Ferrara, eletto come indipendente nelle liste del Pci, dagli incontri «Europa-Africa» del centro ecumenico di Agape, di cui fu promotore e animatore, dall’esperienza delle 150 ore all’impegno con il sindacato.
Miegge è sempre stato animato dalla convinzione che «affinché la scelta della vita contro la morte prenda consistenza di progetti comuni, di impegni professionali e di decisioni politiche, dobbiamo innanzitutto ritrovare, allargare e difendere gli spazi pubblici: i luoghi e i tempi in cui le donne e gli uomini si parlano e s’interrogano a vicenda, “aiutandosi gli uni gli altri” a darsi luce» (Capitalismo e modernità, 56). Questa visione lo portava a valorizzare i gruppi, i collettivi di lavoro, come spazio privilegiato per affrontare le questioni che sono al tempo stesso problemi della consociatio e chiamate all’impegno personale.

Miegge era valdese. Legatissimo al suo mondo e alla sua chiesa, ne era un esponente acutamente critico, talora severo, esigente interlocutore delle predicazioni che dovevano per lui – e quanto aveva ragione – essere ermeneutica perspicua delle Scritture e non fervorini attualizzanti, diffidente verso un parlare «in nome di Dio» che non sapesse assumere l’alterità e l’anteriorità della parola che ci è rivolta.

Uomo della polis e per la polis, appassionato della città e della Repubblica, sempre più interessato con il passare degli anni e lo svilupparsi del suo pensiero, ai mondi «altri» rispetto alla cultura europea e nordamericana che aveva indagato, come ad esempio l’islam e le religioni orientali, Miegge era legatissimo al minuscolo villaggio di Massello, nelle Valli valdesi, luogo di origine della famiglia materna e in cui ha sempre trascorso lunghi periodi, inserito come pochi altri non residenti nel tessuto umano e sociale di quel microcosmo. Filosofo, militante, valdese, «massellino». In lui, queste quattro dimensioni non si limitavano a coesistere come ambiti distinti; interagivano costantemente, nessuna di esse metteva tra parantesi l’altra, anzi si interpellavano e si alimentavano a vicenda. Nel dialogo che conclude Che cos’è la coscienza storica?, Antonio (che è la cifra dell’autore), lascia l’ultima parola alla voce che interpella Elia: «Elia, che fai qui?» (I Re 19,13). L’ultima parola è l’interrogazione di una voce dal di fuori. Rileggeremo gli scritti di Mario Miegge. Vi troveremo traccia del modo in cui nella sua vita ha accolto questa domanda: «Che fai qui, Mario?». Ma, soprattutto, le sue parole e il suo ricordo, per chi ha avuto il dono di incontrarlo, ci aiuteranno a sentire rivolta a noi la stessa domanda, «che fai qui?», e a cercare la nostra risposta.

Tratto da Confronti di aprile 2014

Tra i principali lavori di Mario Miegge – uno degli intellettuali valdesi più noti e acuti – si ricordano: «I talenti messi a profitto» (1969); «Il protestante nella storia» (1970); «Martin Lutero (1483-1546). La Riforma protestante e la nascita delle società moderne» (Claudiana, 1983 e 2013); «Il sogno del re di Babilonia. Profezia e storia da Thomas Müntzer a Isaac Newton» (1995); «Che cos’è la coscienza storica?» (2004); «Capitalismo e modernità. Una lettura protestante» (2005); «Vocazione e lavoro» (2010).