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di Fulvio Ferrario

«Cristo ha distrutto la morte e ha messo in luce la vita e l'immortalità mediante il vangelo»

Lutero, che di solito predilige le espressioni più incisive e plastiche, anziché dire che Cristo «ha distrutto» la morte sceglie di tradurre, echeggiando altri passi dell'epistolario di Paolo, con «le ha tolto potere»: come se intendesse in qualche modo rispettare il dato di fatto che la morte, anche se vinta in Cristo, esiste pur sempre. Forse è una lettura troppo «moderna» della sua traduzione, ma proprio per questo essa può aiutare la nostra riflessione.

Il Nuovo Testamento è, nell'insieme, assai chiaro su due punti: a) certamente, la fede si vive qui e ora, non è una specie di missile spirituale che ti catapulta nei cieli dello spirito. Sembra che alcuni e alcune (Paolo stesso, tra altri) abbiano fatto di queste «escursioni», ma anche loro sono poi ritornati con entrambi i piedi per terra; b) dall'altra parte, la comunione che Dio crea con gli esseri umani in questa vita è più forte della morte; la morte non è l'ultima parola sull'esistenza umana e senza questa affermazione, sempre secondo Paolo, la fede cristiana non ha alcun senso. Il versetto, e i testi ad esso collegati dal lezionario in questa 17a settimana dopo Pentecoste, si collocano su questo registro. 

Secondo la Scrittura, la vita dopo la morte («risurrezione»; nel linguaggio del versetto, «esistenza non corruttibile», forse per noi meno equivoco di «immortalità») non è una sorta di dogma a sé stante, bensì coincide con la fede in Dio stesso, vista nelle sue conseguenze per l'essere umano. Dio è, di nome e di fatto, Colui – che – risuscita – i – morti. Ma come è possibile, oggi (con tutto quanto sappiamo sull'essere umano e sul suo «spirito», che ormai è diventato materia cerebrale, «corruttibile» come tutto il resto), credere in qualche modo in una nuova vita dopo la morte? Ebbene, almeno su un punto bisogna dire che il pensiero biblico sa davvero qualcosa che anche la cultura scientifica ripete sempre, ma che poi dimentica nei fatti: che cioè l'orizzonte di ciò che è reale non è riducibile a ciò che il cervello umano riesce a rappresentarsi. Non è che con ciò si sia «dimostrata» la vita eterna, ovviamente. Si vuole solo indicare la direzione nella quale iniziare a pensarla, nella fede.