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di Giuseppina Bagnato

«Gesù disse loro: "Venite a far colazione". E nessuno dei discepoli osava chiedergli: "Chi sei?" Sapendo che era il Signore. Gesù venne, prese il pane e lo diede loro; e così anche il pesce»

La scrittura è forma che riattiva il ricordo e in questo brano ci sono forme che si rivelano all’alba. Mani unte si stanno muovendo silenziose fra le braci nel distribuire il pane caldo e il pescato. Un’aria umida forza le narici mentre l’odore delle piante acquatiche si mescola con quello dei sassi: è l’ora in cui gli uccelli si levano in volo e il silenzio è rotto dai richiami degli stormi. Quel luogo richiama a momenti già vissuti e quell’uomo sulla riva sembra un miraggio.
C’è una cantilena che gorgoglia e accompagna il movimento delle sue dita fra la cenere calda: è l’onda. Essa si infrange e regala l’eco delle reti, dello schianto di corpi ansimanti, in nuoto verso riva. L’onda ancora lambisce corpi viscidi e inermi: pesci che soffocano fra gli spasimi di un’agonia. 

La morte è prossima e ci sono ali che tutt’attorno frullano frenetiche in attesa di predare un boccone che riscatterà i ventri e accheterà i piccoli nei nidi. È Il lago di Tiberiade o, come dicono gli ebrei di quelle sponde, il lago di Kennet, per la sua forma che ricorda un’arpa. Il suono di questa arpa viaggia a 209 metri sotto il livello del mare, negli abissi dove scorrono sorgenti che rinnovano le correnti dal fondale e si spingono verso il fiume Giordano.

È in questo luogo creato da Dio, che Gesù aveva chiamato quegli uomini a seguirlo. Era poi apparso loro, sempre all’alba, camminando sulle acque dopo un ritiro in preghiera… Ma non era solo questo. Per più di uno di loro era il ritorno al luogo del proprio fallimento. Il ritorno alle reti era la resa: la loro sconfitta. La morte si era portata via tutto: l’amato, la loro dignità e il rispetto reciproco.

Le loro mani ora potevano solo tornare a ciò da cui erano partite: una vita che li soffocava come le maglie di una rete intrecciata fra sguardi bassi e ricordi da far sprofondare negli abissi.  Ma dalla riva si alza il fumo di una brace che non trattiene l’odore del pane e del pesce. La forma ha ora le fattezze del Risorto e chiede loro di aggiungere il loro pescato. Dopo una notte troppo lunga, zavorrati e ostaggi del silenzio, ora quello stesso silenzio si scopre caldo e avvolgente. “Venite a mangiare” e l’aria si riempie non solo dell’umido delle loro vesti gocciolanti ma di calore. Gli occhi pizzicano e le pupille si dilatano ma non è il fumo del focolare. Nessuna domanda osa interrompere la consolazione di quel gesto che nutre. Nessuno chiese “Chi sei?”, non ce n’era bisogno. Fra di loro, solo il silenzio di un pasto come una preghiera.