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di Giuseppina Bagnato

«Giosuè fece rizzare pure dodici pietre in mezzo al Giordano, nel luogo dove si erano fermati i piedi dei sacerdoti che portavano l'arca del patto, e vi sono rimaste fino ad oggi. (…) E Giosuè fece rizzare in Ghilgal le dodici pietre che essi avevano prese dal Giordano. Poi parlò ai figli d'Israele e disse loro: "In avvenire, i vostri figli domanderanno ai loro padri: 'Che cosa significano queste pietre?'"»

La penna di chi scrive questi versi si muove all’indomani della fine della deportazione in Babilonia. Guarda con gli occhi rivolti al passato, disegna con l’inchiostro la rotta di una marcia che per ben due volte è proseguita fra gigantesche pareti liquide per poi toccare terra ferma. La storia prende forma calcarea, è pietra, elemento naturale che descrive momenti spaventosi e sogno realizzato. Una pietra che si erode ma rimane, così le 12 pietre nascoste nel ventre del fiume Giordano e quelle esposte al sole di Ghilgal narreranno dell’uomo il cui nome fu cambiato in Giosuè (in ebraico “Iddio Salva”) e del popolo a cui rivelò:

“… domani il SIGNORE farà meraviglie in mezzo a voi” (Giosuè 3.9)

Il racconto della traversata del fiume Giordano, delle acque che si separano di nuovo dopo quarant’anni affinché la parola di Dio si compia, si ricollega ai luoghi della memoria. Esso rimane realtà di movimento che traccia il cammino. “Perché tutti i popoli della terra riconoscano che la mano del SIGNORE è potente, e voi temiate in ogni tempo il SIGNORE vostro Dio”. (Giosuè 4: 24)

Giosuè ricorda che Iddio ci precede e dobbiamo porre distanza fra la Sua azione e la nostra per capirne il senso. Solo se poniamo questa distanza comprendiamo l’orizzonte verso cui ci stiamo muovendo.

Dio è la nostra retroguardia: quando il popolo è in cammino, l’arca si ferma nel mezzo del Giordano per assicurarsi che nessuno vada perduto. Per questo due monumenti di pietra. 

Le pietre si muovono, le pietre fissano un ricordo indelebile del Dio che ci vuole in un ascolto dinamico perché l’incontro e la chiamata precedono il dono della Legge. Questo dinamismo intellettuale narra l’amore viscerale di Dio per tutto il Creato. Ecco, dunque, che la sua Legge prende forma verso il mondo e le nostre responsabilità umane. Solo dopo avere studiato e meditato questa Legge si comprende che direzione dare alla marcia. Ecco perché le nostre liturgie richiamano a momenti della storia della fede del passato, a un patto che non vogliamo violare. Questa settimana vi è il rimando narrativo a un’altra pietra che fu trovata smossa: quella del sepolcro dove erano poste le spoglie umane di Gesù (come in ebraico “Iddio salva”). Come il popolo d’Israele si salvò grazie alla Misericordia di Dio e gli fu chiesto di proseguire il cammino, così noi siamo chiamati a essere custodi di una memoria in movimento perché la nostra chiamata per atto salvifico è valida ieri come oggi e con essa la nostra responsabilità di vivere secondo la Legge del Dio Vivente.