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di Pawel Gajewski

«Ecco, le tenebre coprono la terra e una fitta oscurità avvolge i popoli, ma su di te sorge il Signore e la sua gloria appare su di te»

Questo versetto è tratto dagli ultimi dieci capitoli del libro del profeta Isaia. In questi capitoli sono descritti il ritorno in Gerusalemme e la ricostituzione del popolo, liberato dopo l'esilio di Babilonia (587-538 a. C.). Nel cosiddetto “Terzo Isaia” l’apertura universalistica raggiunge un apice del tutto nuovo, divenendo un tema unificante dei capitoli attribuiti a questo anonimo profeta (o un gruppo di profeti). Questa parte del libro di Isaia si apre, infatti, con l’assicurazione data ad eunuchi e stranieri (nakhriy, intesi come immigranti) che saranno inclusi nel popolo dell’alleanza (Isaia 56,1 -8) e si conclude con l’invio d’Israele alle nazioni (gojim, si veda Is 66,19), perché anche tra loro possano essere scelti sacerdoti e leviti (66,18-21).

Il periodo dell’esilio è stato indubbiamente un tempo di crisi per il popolo d’Israele. La storia dimostra però che quella crisi, in un certo senso, è stata salvifica. Soltanto grazie alle esperienze accumulate in Babilonia e alle loro successive elaborazioni l’ebraismo ha saputo trasformarsi da una religione del sacrificio in una comunità di fede fondata sulla Parola. La distruzione del tempio di Gerusalemme poteva significare la fine dell’ebraismo, invece si rivelò lo stimolo decisivo per il suo profondo rinnovamento. Detto in termini più simbolici: un alternarsi della luce e delle tenebre.

A Gerusalemme si prova una sensazione di stupore guardando le aurore sulla cosiddetta “Città vecchia” poiché la sua collocazione sulla collina di Sinai crea giochi di luce veramente particolari. Mentre in basso con ritardo, in mattinata, si diradano nebbia e foschia, in cima splende il sole e illumina la spianata su cui sorgeva il tempio. È un fenomeno che si presta a tante interpretazioni, anche di matrice cristiana, se pensiamo al famoso prologo di Giovanni: La luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l'hanno sopraffatta (Giovanni 1,5). Il tempio ebraico, con ogni probabilità, non sarà mai ricostruito. La sua memoria, tuttavia è sempre viva e le pietre del Muro del pianto riflettono ogni mattina la luce del sole.