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di Mauro Pons

«... è ora ormai che vi svegliate dal sonno, perché adesso la salvezza ci è più vicina di quando credemmo»

Accompagniamo l’inizio di questo nuovo «tempo dell’avvento» con queste parole, scritte da Paolo in ansiosa attesa del «compimento» della promessa del ritorno del «suo» Messia, il Risorto, che aveva incontrato sulla via, mentre era diretto a Damasco.
L’avvento è il tempo dell’«attesa» della nascita di Gesù, tempo ciclico nella riproposizione della liturgia cristiana, tempo di riflessione pensosa per il credente, il quale torna a porsi il problema della possibilità della fede nel Dio di Gesù. L’«ora» e l’«adesso» di Paolo hanno a che fare con il nostro presente: questo «ora» rimanda a un’azione (il «vegliare»), che precede il compiersi della nostra salvezza.

Paolo conosce bene la forza dell’impatto, che il dono della fede ha sulle nostre esistenze, quando l’accogliamo come un segno di grazia e di benedizione, perché le nostre vite sono trasformate da essa. Allo stesso tempo, però, Paolo sa altrettanto bene, che il tempo della quotidianità smorza, attenua, disarma la potenza della fede, riconducendola spesso a una stanca ripetitività.

Pur nel suo riproporsi con cadenza annuale, il tempo dell’avvento è la «sveglia» che, qualche volta, interrompe il «sonno», in cui siamo caduti a motivo della nostra stanchezza, del nostro esserci adagiati nell’abitudinario, nella nostra incapacità di guardare allo straordinario e di accontentarci del nostro consueto. L’avvento vuole ricordarci che, quel Gesù, che nascerà, ha già fatto tutto per noi: ci ha salvati, ora, e per sempre.