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di Davide Rostan

«Ed egli, buttati i sicli nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi»

Giuda è presentato di volta in volta come il traditore, come lo zelota rivoluzionario, come quello che teneva i soldi. Spesso ci si è chiesti se Gesù sarebbe morto ugualmente se non ci fosse stato Giuda.

Giuda, io credo, – perché nella mente di ciascuno di noi è sempre difficile entrare fino in fondo – è un uomo rimasto solo e disperato che ci lancia una richiesta di aiuto e una domanda. Forse sognava una liberazione politica dai romani più immediata, più concreta, e quando Gesù allude al momento della propria morte dicendo che i poveri sarebbero rimasti sempre con loro ma lui no, Giuda si sente perso e disperato.
Quando, allora, la salvezza, di cui Dio ci parla, si realizza nella nostra vita personale? Quando avverrà, sembra chiedersi Giuda, se oggi Gesù ci annuncia la sua morte e ci lascia da soli coi poveri.

Giuda è uno che ha lottato tutta la vita, che ha sognato un cambiamento radicale e che alla fine deluso e amareggiato si vende l’amico, il maestro, per pochi soldi sperando cosi di salvarsi da sé.
Giuda ci implora di non lasciarlo solo davanti alla frustrazione e all’assenza di speranza. Giuda si rende conto che di trenta monete d’argento non se ne fa nulla, non ha più sogni, non ha più amici, non è più discepolo di nessuno, e va ad impiccarsi.

Giuda ci ricorda tutta la fragilità delle nostre vite e ci invita a non condannare questo gesto drammatico bensì a restare accanto alla disperazione dei nostri fratelli e delle nostre sorelle.