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di Davide Rostan

«Non concupire la casa del tuo prossimo; non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo»

I comandamenti dal quinto al nono pongono un chiaro limite nel rapporto con il prossimo. Nel regno del Faraone, dominato dall’ansia, dalla paura, e dallo scopo di accrescere la produzione a cui sono sottoposti gli schiavi, il prossimo era un mezzo, un ingranaggio al servizio della produzione o di un apparato di sicurezza.
Al Sinai il prossimo diventa un fine in sé. Verrà dato peso a chi ti ha generato, non sarà più lecito uccidere, rubare, attestare il falso e commettere adulterio. Infine verrà posto un limite contro il desiderio predatorio verso l’altro.

L’ultimo comandamento non è quindi una moralistica denuncia contro chi invidia l’altro bensì il tentativo di porre uno steccato a difesa dei più deboli, dei più vulnerabili che rischiavano di vedersi portare via tutto.
Al Sinai Israele impara che c’è e ci deve essere un limite al desiderio di possesso. Il desiderio sfrenato di possesso sta alla base della schiavitù in Egitto e della possibilità di rendere schiavi di questo meccanismo tutti coloro che in nome di questo desiderio sono disposti a rinunciare a tutto il resto.
Per questo il Signore ce lo dona come insegnamento per la nuova vita nella terra che abbiamo davanti e che il Signore ci ha dato: affinché in nome di quel desiderio non ci siano più né padroni né schiavi e che la brama di possesso non sia più alla base delle nostre relazioni sociali ed economiche.