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di Sergio Manna

«Gesù, dopo aver congedato la folla, si ritirò in disparte sul monte a pregare. E, venuta la sera, se ne stava lassù tutto solo. Frattanto la barca, già di molti stadi lontana da terra, era sbattuta dalle onde, perché il vento era contrario. Ma alla quarta vigilia della notte, Gesù andò verso di loro, camminando sul mare. E i discepoli, vedendolo camminare sul mare, si turbarono e dissero: “È un fantasma!” E dalla paura gridarono. Ma subito Gesù parlò loro e disse: “Coraggio, sono io; non abbiate paura!”»

In questo episodio del Vangelo i discepoli di Gesù fanno l’esperienza di molti dei nostri contemporanei: donne e uomini che nelle tempeste della vita si sentono soli, abbandonati da Dio e dagli uomini. Gesù stavolta non è con loro nella barca, come invece era accaduto in un episodio analogo riportato da Matteo (8,23-27), quando il Signore aveva sedato immediatamente la tempesta. Ebbene sì. Anche i discepoli sperimentano situazioni nelle quali l’unica preghiera possibile sembra essere: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Salmo 22,1).

E d’altra parte, come potrebbero consolare gli afflitti se non sapessero essi stessi cos’è l’afflizione, se non facessero essi stessi l’esperienza della notte dell’anima? Non è per cinismo che Gesù non interviene subito in loro aiuto. Forse vuole abituarli al fatto che un giorno verrà loro tolto e non potrà più essere con loro, non fisicamente almeno. Forse vuole anche che i discepoli si diano da fare senza aspettarsi sempre tutto da lui. La fede, infatti, non è pregare il Signore e attendere che sia lui a fare ogni cosa. Nell’ora della tempesta bisogna certo pregare, ma senza mai abbandonare i remi. Bisogna continuare a fare la propria parte.

E se interpretiamo la barca come un simbolo per la chiesa comprendiamo che in questo racconto si parla di noi e a noi. Una cosa è certa: il Signore non abbandona i suoi e nel momento più critico, quando i discepoli sembrano aver esaurito le forze, egli arriva camminando sulle acque, che nella Bibbia sono spesso simbolo del caos e della morte. Il messaggio è allora chiaro: in mezzo al caos e alle tempeste della vita Gesù, il Signore risorto che ha vinto il caos e la morte, ci dice: “Coraggio, non abbiate paura”.

Quando questa scialuppa di salvataggio che è la chiesa sembra essere destinata a colare a picco e a scomparire nell’abisso (anche perché alcuni abbandonano i remi), il Cristo ci dice: Sono io, non abbiate paura. Nonostante tutto sono ancora con voi. Non sono un fantasma. Ci sono e ci sarò. Questa barca sgangherata che fa acqua da tutte le parti non colerà a picco, perché in fondo sono ancora io a governarla. Non temiamo, dunque, e non smettiamo di remare. Confidiamo nel fatto che il Signore non ci abbandona e che in ogni tempesta che dovremo attraversare verrà in nostro aiuto.