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di Luciano Deodato

«Splenda la luce fra le tenebre» (2 Corinzi 4,6)

Nella sua umile casa, nella stanza a pianterreno una volta divisa in due - da una parte il posto per il mulo, dall'altra il letto - il vecchio contadino viveva le sue ultime ore stanco e debole, ma perfettamente lucido. Lessi con lui un passo biblico, poi pregai e anche lui volle aggiungere una sua preghiera e cantare, sia pur con flebile voce, le strofe di un inno. La moglie intanto andava e veniva rassettando la casa. Alcuni giorni più tardi ci fu il funerale.

Passati un dieci o quindici giorni la vedova mi venne a trovare. Nel dialetto, che io facevo fatica a comprendere, mi spiegava che i suoi parenti la criticavano e le erano ostili perché sulla tomba del marito non aveva ancora messo il “lumicino”. Ma lei non lo voleva mettere, perché le sembrava una idolatria e una superstizione e noi evangelici non abbiamo bisogno “di quelle cose là”. Che cosa doveva fare?

Le suggerii di mettere un versetto biblico. Ma quale? Tra tutti scelse quello che dice: “... il Dio che disse 'Splenda la luce fra le tenebre' è quello che risplendé nei nostri cuori per far brillare la luce della conoscenza della gloria di Dio...” (2 Corinzi 4,6).

Così nel cimitero, dove a sera si accendono flebili fiammelle su decine di tombe, una rimane buia. Ma a me appare la più luminosa perché illuminata non da una lucina dal significato forse antico e magari superstizioso, ma dall’annuncio che le tenebre della nostra morte sono state vinte dalla Parola della vita e che la resurrezione comincia già ora, per fede, nel corso della nostra esistenza.
E ciò da parte di un’umile contadina che ha avuto il coraggio e la forza di andare contro tradizioni e credenze ataviche del villaggio e della propria gente.