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di Luciano Deodato

«... mentre noi eravamo ancora senza forza, Cristo a suo tempo, è morto per gli empi (...) Dio mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.»

Lo rivedo seduto sul banco degli imputati, la testa bianca, lo sguardo perduto nel vuoto, muto. In un momento di follia, scatenata da un sospetto di assai improbabile adulterio, aveva accoltellato a morte la moglie, per lavare col sangue l'onore perduto. Mite, lavoratore onesto, buon padre di famiglia, membro assiduo della nostra chiesa, era bastato un nulla per trasformarlo in “mostro”. La Corte lo condannò a 11 anni. Andai a visitarlo in carcere: nessun rimorso per il delitto commesso. Un due anni dopo la famiglia mi avvisò che era morto. In un cimitero deserto, in una grigia giornata d'autunno, mi ritrovai col figlio, una nipote, due becchini. Nessun altro tra i parenti, nessun amico o conoscente. Feci una breve lettura biblica, dissi due parole, una preghiera. La bara fu calata nella fossa, ricoperta di terra e ognuno se ne andò per la sua strada.

Rivedo quella scena fin nei minimi dettagli, ma come un film muto: non ricordo il testo biblico, né che cosa dissi, né la preghiera. Se fosse oggi, penso che non potrei fare a  meno di riprendere una parola che troviamo nella lettera dell'apostolo Paolo ai Romani: “Cristo, a suo tempo, è morto per gli empi...” (Rom. 5,6). Chi ammazza è certamente nella categoria degli empi e la nostra giustizia non può che condannarlo. Ma la giustizia di Dio è un'altra cosa: non è pietà, né commiserazione, né comprensione e meno che mai indifferenza. Cristo è morto per gli empi, cioè ha dato la sua vita per loro, per noi. Potremmo mai capirne il significato profondo? Questa parola così audace e paradossale, cuore dell’Evangelo, è l'unica che, di fronte alle tragedie del nostro vivere e allo squallore del nostro morire, può farci intuire un mondo nuovo, una umanità nuova e fondare la nostra speranza.