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di Klaus Langeneck

«Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua moglie; perché ciò che in lei è generato, viene dallo Spirito Santo.» (Matteo 1,20)

Come ha fatto Giuseppe a sposare una donna, messa incinta da un altro? Come ha fatto ad accettare un figlio non suo? Non era proprio questo il senso del matrimonio, assicurare le paternità, i diritti e obblighi dei padri nei confronti dei figli? Giuseppe invece, nonostante tutto, mantiene la promessa data a Maria, accoglie il bambino che nasce come suo primogenito, gli dà un nome, compie per lui i riti prescritti dalla legge.

Dio chiede a Giuseppe molto, gli chiede di saltare la sua ombra di maschio e padre. E Giuseppe lo fa. Forse non ha capito, forse ha agito, perché l’ordine è venuto dall’alto. Ma potrebbe anche essere che Giuseppe si è accorto di essere coinvolto in qualcosa di grande, in qualcosa che avrebbe cambiato il mondo, spezzato le gabbie dei diritti, privilegi e obblighi e messo al centro la relazione tra le persone che vive dell’amore e del rispetto delle libertà reciproche. Essere padre di un figlio non è averlo fatto, ma tessere una relazione con il figlio che è nato, crescere insieme a lui nella relazione.

Giuseppe appare nei racconti della nascita di Gesù; nel corpo del racconto evangelico troviamo soltanto un cenno a Giuseppe in Matteo 13,55, dove la gente di Nazaret indica Gesù come figlio del falegname. Forse non è vissuto fino al momento da poter essere testimone delle predicazioni di suo figlio e non ha sentito il messaggio, per gli uni sconvolgente, per altri luce nelle tenebre della loro vita, che Dio ha accolto noi peccatori, figli e figlie di una generazione adultera, come figli suoi e vuole essere il nostro Padre.