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di Giuseppe Platone

«Molte volte mi hanno oppresso fin dalla mia gioventù - lo dica pure Israele -molte volte mi hanno oppresso fin dalla mia gioventù; eppure non hanno potuto vincermi. Degli aratori hanno arato sul mio dorso, vi hanno tracciato i loro lunghi solchi. Il Signore è giusto; egli ha spezzato le funi degli empi.» ( Salmo 129, 1-4»

L’oppressione, nel corso dei secoli, non ha distrutto totalmente Israele. Il popolo di Dio è stato oppresso fin dalla sua gioventù («la gioventù» inizia in Egitto e i guai continueranno anche nell’età adulta...). Un popolo sofferente, ma non un popolo che rinuncia. L’elezione divina non è privilegio o salvacondotto per evitare le prove. La vocazione che Dio rivolge al suo popolo s’iscrive nella dimensione del resistere al male.

Descrivendo le sofferenze subite, il salmista utilizza immagini prese dalla vita quotidiana: la lama dell’aratro allude alla devastazione apportata dall’esercito babilonese. L’aratura si collega alla schiena della persona umana: espressione che troviamo anche in Isaia 51,23: «Chìnati che ti passiamo addosso! Tu facevi del tuo dorso un suolo, una strada per i passanti!». La schiena flagellata è simbolo antico di tortura, di umiliazione violenta.

C’è in questa prima parte del Salmo un oscillare tra disperazione e speranza. Non posso - dice in sostanza il Salmista - comportarmi con i nemici come con gli amici. Non posso dimenticare, posso solo invocare la giustizia di Dio.

Il grido che il Salmo racchiude è storicamente risuonato anche nelle vicende del protestantesimo italiano. Non siamo l’unica minoranza religiosa con una storia di repressione, con un passato che racchiude un’infinita fatica nell’emergere e affermare la propria volontà. Siamo ancora in cammino e lo siamo con le altre minoranze che questa nostra libertà non hanno ancora raggiunta e che noi, proprio per le vicende del passato, non vogliamo dimenticare.

La storia illustra come questa nostra libertà, ieri come oggi, ha sempre un costo. Nell’affermare la libertà interiore – che è capacità di discernimento e di responsabilità personale – il nostro essere chiesa ritrova il senso delle sue passate difficoltà e sofferenze, e riconsacra se stesso sul cammino del discepolato di Cristo. Pur guardando avanti, non dobbiamo rimuovere le vicende che ci hanno preceduto. Non vogliamo scivolare dentro un miope presentismo, in cui non si sa più da dove veniamo e dove andiamo. Restiamo aperti alle cose nuove e buone che Dio prepara per noi oggi, coscienti di un passato di sofferenza e discriminazione. Che non abbia a ripetersi.