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di Giuseppe Platone

«...piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni famiglia nei cieli e sulla terra prende nome, affinché egli vi dia, secondo le ricchezze della sua gloria, di essere potentemente fortificati, mediante lo Spirito suo, nell'uomo interiore, e faccia sì che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, perché, radicati e fondati nell'amore, siate resi capaci di abbracciare con tutti i santi  quale sia la larghezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità dell'amore di Cristo e di conoscere questo amore che sorpassa ogni conoscenza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio» (Efesini 3, 14-19).

In genere un ebreo, come certamente era l’autore della lettera ai cristiani di Efeso, prega in piedi. Ma ci possono essere situazioni eccezionali, in cui entrano in gioco questioni brucianti. Può capitare, in casi estremi, di cadere in ginocchio, non in modo obbligato come uno schiavo davanti al suo  padrone, ma in modo spontaneo, naturale, come in un incontro tra due persone che si cercano, che si amano.
L’oggetto di questa preghiera d’intercessione esprime l’augurio che i lettori giungano al traguardo (da molti considerato impossibile)  di conoscere Dio. È lì che si gioca tutto, il resto viene dopo. Storicamente nella formulazione di questa intercessione s’incontrano due culture diverse: Gerusalemme e Atene. Ebraismo ed ellenismo. Omero canta Zeus come padre, un po’ lunatico, di tutti gli uomini e di tutti gli dèi. La sapienza ebraica vede in Dio il creatore dell’universo che offre le regole per realizzare un’esistenza piena. Da un lato un dio capriccioso, incomprensibile, lontano dall’altra un partner, nei confronti dell’umanità, vicino e affidabile. Pur  muovendo da opzioni culturali diverse si trattava di capire cosa occorresse fare per conoscere Dio. Un problema che interessa anche a noi oggi. 

Tra lo spirito prometeico, che esige di conoscere e dominare ogni cosa, e lo spirito fatalistico o rinunciatario, che ritiene perfettamente inutile agitarsi tanto non cambia nulla, o l’atteggiamento che considera come la ricerca di Dio sia illusione e pura perdita di tempo, c’è anche un’altra possibilità. La tradurrei così: provate a lasciare spazio nella vostra vita all’agire di Dio. Lasciate che Dio, in Cristo che è espressione del suo stesso Spirito, occupi questo spazio. Il che non vuol dire annullarsi, ma iniziare un cammino diverso. Nel pregare Dio che ci dia la forza di procedere su questo nuovo cammino scopriremo come anche Cristo preghi per noi. La fede che lo Spirito di Dio suscita è questo viaggio orientato dalle sfide che l’amore di Dio quotidianamente propone, un amore concreto che abbraccia l’umanità, nessuno escluso. Su questo terreno, che Cristo ha dissodato per noi, la conoscenza di Dio diventa straordinaria esperienza di vita.