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di Marcello Salvaggio

«Egli giudicherà tra nazione e nazione e sarà l'arbitro fra molti popoli; ed essi trasformeranno le loro spade in vomeri d'aratro, e le loro lance, in falci; una nazione non alzerà più la spada contro un'altra, e non impareranno più la guerra.» (Isaia 2,4)

Le parole profetiche di Isaia sembrano ancora una volta sconfessate dalla storia. Le immagini che arrivano dalla Siria sul conflitto tra la Turchia di Erdogan e l’enclave curda siriana ci riportano ancora una volta a fare i conti con una guerra insensata che produce morte e desolazione soprattutto tra i civili e in particolare tra i più indifesi e incolpevoli, i bambini e le bambine.
Mi chiedo se dobbiamo arrivare a loro, ai loro pianti e alle loro facce terrorizzate, per renderci conto di quanto la strada delle armi e delle guerre sia la follia della nostra umanità. I bambini non sono solo le vittime delle guerre, ma anche gli spettatori inconsapevoli di un modo di agire dei grandi che li segnerà profondamente. 

Ciò che mi colpisce maggiormente della profezia di Isaia è che si dica che le nazioni non impareranno più la guerra. Non tanto che non la insegneranno più, che smetteranno di praticarla, ma che non la impareranno, cioè che saranno rese estranee a questa logica, quasi impermeabili. Allora gli strumenti di morte saranno trasformati in strumenti di vita, i gesti di offesa in gesti di riconciliazione. Isaia è consapevole che questa trasformazione non dipende da noi, ma dal Signore che viene a giudicare le nazioni, a far da arbitro tra i popoli. Venga dunque il Signore a trasformare le nostre menti, a riconciliare le nazioni, a ridare un sorriso e un futuro ai bambini.