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di Lothar Vogel

«Io sono il Signore, il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avere altri dèi oltre a me.»

Questi versetti fanno parte del bagaglio catechetico minimo che portiamo con noi. Nonostante ciò, ci propongono una scelta tra due opzioni che in fondo sembrano lontane dalla nostra sensibilità: la prima, quella alla quale siamo ammoniti, è di attenerci esclusivamente a quel Dio che ha liberato il suo popolo dalla schiavitù; l’altra, invece, non è, come potremmo pensare, l’ateismo oppure l’indifferenza, ma una religiosità altrettanto pia, forse perfino ancora più fervente, seppure diversa, pluralista, non riservata a questo Liberatore.

Il versetto biblico ci sottopone, dunque, un’alternativa profondamente diversa da quella che avremmo in testa noi. Resta a questo punto la questione se, così come pensiamo normalmente, comprendiamo bene noi stessi, oppure se a questo riguardo la Parola abbia qualcosa da dirci. Lutero spiega come segue il Primo comandamento: «“Non avere altri déi!” – questo vuole dire: “devi ritenere tuo Dio me soltanto”. Che cosa vuole dire questo? Che cosa vuole dire avere un Dio e che cos’è Dio? Risposta: Dio si chiama ciò da cui ci si aspetta ogni bene e in cui si trova rifugio in ogni emergenza. Di conseguenza, avere un Dio non vuole altro che non fidarsi di lui di cuore e credere in lui.»

Colpisce il modo in cui Lutero, in un catechismo scritto per i padri di casa e per i pastori, introduce il concetto di Dio – un concetto che sa di astrazione, di costruzione umana, di proiezione. D’altronde, facendo esattamente così Lutero riesce a rovesciare le prospettive sotto cui abitualmente affrontiamo la questione. Il problema non è se noi optiamo per Dio oppure contro di lui. Lutero è convinto, invece, che nessuno vive senza avere un Dio, ovvero senza avere un’istanza dalla quale si aspetta aiuto, senso, salvataggio dal pericolo. Secondo lui, non è che chi è credente possieda una marcia esistenziale in più oppure viva in un’illusione per la quale gli altri non avrebbero alcuna sensibilità. Non è neanche che “credere” sia sempre una cosa gradita a quel Dio che emana il Primo comandamento. Con queste parole siamo invitati a un distinguo tra ciò di cui vale la pena fidarsi e ciò di cui non, tutto ciò all’interno di un vissuto che condividiamo con l’intera umanità, esposta come noi all’inganno e aspirante come noi a una salvezza.