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di Bruno Rostagno

«O mio Dio, inclina il tuo orecchio e ascolta! Apri gli occhi e guarda le nostre desolazioni, guarda la città sulla quale è invocato il tuo nome».

La comunità di Israele, per non abusare del nome di Dio, evita di pronunciarlo e lo sostituisce con «Signore» o semplicemente con «il Nome». Questo non significa che Dio divenga evanescente. Al contrario, la manifestazione di Dio è sempre un fatto reale, che incide nella vita. L’orecchio, gli occhi, indicano la concretezza di Dio. A questi sostantivi corrispondono due verbi: «ascolta» e «guarda». Sono due invocazioni che esprimono i due aspetti della preghiera: l’atto di chiedere conta sull’ascolto da parte di Dio; l’oggetto della richiesta pone tutta la città sotto lo sguardo di Dio. La comunità, rappresentata dal profeta, chiede per sé l’ascolto; ma non invoca per sé soltanto l’aiuto di Dio, lo invoca per la città nella quale vive.

Gesù ha detto: «Fino ad ora non avete chiesto nulla nel mio nome; chiedete e riceverete» (Giovanni 16,24). Non è possibile pregare se non si ha la certezza che Dio ascolta, e Gesù ci dà questa certezza.

Ma l’impegno di Gesù è stato a favore di tutti, non solo della piccola comunità dei discepoli. Perciò la richiesta fiduciosa da parte dei credenti si estende al luogo in cui tutti devono convivere. La «città sulla quale è invocato il tuo nome» è Gerusalemme. Dopo Cristo, il nome, cioè l’aiuto di Dio, è invocato sulla società umana con le sue desolazioni che attendono riscatto.