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di Erika Tomassone

«Gesù alzatosi e non vedendo altri che la donna le disse: "Neppure io ti condanno. Va e non peccare più"»

Una donna, grazie all’abilità di Gesù, scampa ad una condanna per lapidazione. I guardiani della Legge ebraica che l’hanno usata come un caso da discutere per poter incastrare e condannare Gesù come trasgressore di quella stessa legge, hanno lasciato il campo. Gesù, a rischio di condanna. Fino a quel momento è rimasto chino a terra, a tracciare sulla terra segni misteriosi. Non ha voluto mettersi sullo stesso piano degli accusatori, ha rinunciato ad ogni atteggiamento di sfida. La misericordia scrive sulla morbida terra, il contrario della durezza dello spirito di condanna. Solo ora si alza, si mette faccia a faccia con la donna scampata, solo con lei si mette sullo stesso piano. Una persona per lui non può essere mai un caso da studiare, per dibattere, per dividersi tra chi ha torto e chi ha ragione. Gesù vede nella donna una persona con la sua vita, e non un caso morale.

La donna è rimasta lì, senza potersi dare da sola la libertà di andarsene, come bloccata dal suo ruolo di donna accusata. E poi c’è pur sempre ancora un uomo presente, un maestro. Alla fine se ne andrà perché Gesù la congeda non con un atto di indulgenza buonista- poverina chissà come è andata la storia dell’adulterio- ma con un atto liberatorio: neppure io ti condanno. Nel congedo di Gesù- va e non peccare più- sta la possibilità di una vita nuova e libera dalla minaccia della condanna. Io non ti condanno è la parola che è rivolta a noi e che apre una possibilità di vita liberata.