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di Claudio Pasquet

La “colonia” valdese di Valdese, nel North Carolina, ha festeggiato 125 anni 

Torre Pellice, 5 Giugno 2018

Scrivo queste parole in una casa all'incrocio tra Janavel Avenue e Rodoret Street. Sono appena terminati i tre giorni di celebrazione che la chiesa di Valdese nel North Carolina ha dedicato al 125° anniversario dell'arrivo dei primi emigranti dalle Valli valdesi, i quali fondarono questa cittadina in un luogo dove in precedenza c’erano solo boschi e terreni incolti. Si ritrovano ancora oggi molti nomi tipici delle Valli Germanasca e Pellice anche se, naturalmente, molti cognomi sono ormai tipicamente americani e la chiesa, pur mantenendo la definizione di Waldensian Presbyterian Church, è ormai solidamente inserita nella grande Chiesa presbiteriana degli USA. La città conta circa cinquemila anime e molte chiese evangeliche, tra le quali quella battista e metodista, ma non una chiesa cattolica. La chiesa valdese ha circa 500 membri e, oltre al compito primario di testimonianza e predicazione, fa un grosso sforzo per il mantenimento della memoria. Basti, a questo proposito, menzionare il bellissimo museo valdese, recentemente ampliato, e lo sforzo fatto scegliendo il tema del simposio di due giorni: quattro facce del Valdismo. Il grande teatro della ex scuola Rock School che oggi è un centro culturale ha ospitato quattro persone da quattro luoghi diversi che sono stati o sono interessati alla presenza valdese. A me è toccata la prima conferenza nella quale ho parlato della storia della chiesa valdese in Italia. Quindi il professor Gabriel Audisio ha parlato della presenza valdese nel sud della Francia spiegandoci come, a partire dagli atti notarili del '400 e '500, si possa desumere quali fossero le famiglie valdesi prima della Riforma: se ne ha la percezione verificando quanto fossero restii, nei testamenti e nei contratti matrimoniali, a richiedere messe in suffragio o a menzionare Maria. Si può verificare anche come, dopo l'adesione alla Riforma, divennero molto più espliciti nell'affermare la propria fede. Ad Albert de Lange è toccato raccontare la vicenda dei valdesi tedeschi e di come essi, pur avendo una confessione di fede di stampo calvinista riformato, vennero ospitati in terre luterane, anche in epoche di scontri confessionali, perché ad essi si riconosceva un primato storico fra i protestanti. Javier Pioli, della chiesa del Rio della Plata, ha raccontato l'emigrazione valdese in quelle terre, soffermandosi sulle grandi sofferenze degli inizi, tra ostilità, pestilenze ma sottolineando come spesso, nonostante i problemi, i Valdesi dell'epoca dessero, nelle lettere che inviavano alle Valli, una lettura ottimista della nuova realtà. A Pioli e a me è toccata poi una seconda conferenza ciascuno nella quale abbiamo raccontato il lavoro e la testimonianza attuale della Chiesa valdese in Sudamerica e in Italia. Kevin Frederick, il pastore di Valdese ideatore di questa manifestazione, ha predicato nel culto speciale di domenica 3 giugno, sottolineando il legame tra la storia fatta di luci ed ombre e la luce di Cristo che ne illumina anche i momenti più oscuri. Nel culto ho provato un’emozione particolare: prima del mio saluto il coro ha cantato un inno in francese che la corale della mia comunità ha appreso l'anno scorso! Devo anche menzionare il legame che molti discendenti dei valdesi emigrati hanno con le loro origini; Gloria Rostaing, volontaria della Società di studi valdesi e dell'archivio storico della Tavola Valdese, ha lavorato intensamente per ricostruire genealogie e storie di famiglia su richiesta di molti di quelli che sono venuti a Valdese. In particolare mi hanno colpito due fratelli Peyronel, giunti con le famiglie dalla California (e non sono due passi) per rintracciare i loro antenati e partecipare al simposio. Infine l'accoglienza fraterna, generosa di singoli, famiglie, chiesa e associazioni; insomma studio, storia, fede, gioia e fraternità.