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di Eric Noffke

La storia della Passione di Gesù resta un fatto sorprendente che non cessa mai di sorprenderci

Torre Pellice, 8 Aprile 2022

È tradizione leggere la storia della Passione di Gesù durante il culto del Venerdì santo, ripercorrendo insieme alla comunità le tappe del suo calvario. Il rischio è sempre quello di cadere nell’abitudine, mentre dovremmo ascoltarla come se fosse la prima volta: in questo modo potremo tuffarci in profondità nel testo, cogliendone elementi nuovi e sorprendenti. Saremo subito colpiti da una narrazione stranamente sobria, visti i gusti letterari del tempo inclini al melodrammatico. Una sobrietà disarmante, che vuole renderci spettatori inerti e agghiacciati dalla violenza riservata al Figlio di Dio, e rammentarci così tutta la brutalità di cui gli esseri umani sono capaci. Da questo punto di vista, purtroppo, Gesù è solo uno dei tanti che hanno sofferto e che soffriranno per mano d’uomo.

Nelle storie evangeliche che precedono la Passione, noi lettori abbiamo conosciuto un Gesù vicino alla gente, soprattutto ai semplici e agli ultimi della società. Al di là di ogni discorso di fede, abbiamo percepito chiaramente il carisma emanato da quest’uomo buono che aiuta chi è nel bisogno, invitando i suoi ascoltatori a fare altrettanto. Ad essere torturato con Gesù, quindi, è il lato migliore dell’umanità, quello che cerca il bene del prossimo ed è capace di farlo. Rifacendosi agli scritti che parlavano della sofferenza della persona innocente e virtuosa, gli evangelisti vogliono dare al Nazareno un posto nel panorama delle Madri e dei Padri d’Israele. Gesù vive ora sulla sua pelle le conseguenze del suo insegnamento di pace, di cui erano stati espressione paradossale e sconcertante i detti che invitavano all’amore per i nemici e a porgere l’altra guancia. Parole innaturali, che ci mettono profondamente in discussione, interpellandoci, ad esempio, sul ruolo delle chiese in un conflitto come quello che si è acceso da poco tempo ai confini dell’Europa. Su ogni guerra l’insegnamento di Gesù ci dice una cosa precisa: la violenza può forse interrompere un’aggressione, ma non può costruire la pace. Questa si edifica giorno dopo giorno seguendo le sue parole e disinnescando le macchinazioni di chi trae profitto dalla sofferenza.

Fin qui la Passione richiama il dramma dell’umanità. A rendere unico questo racconto, tuttavia, è l’appello rivoltoci ad accettare il modo scandaloso e inspiegabile in cui Gesù si è mostrato come Signore del mondo. È allora bene leggere anche l’episodio dell’ingresso trionfale a Gerusalemme: in questo modo ricreiamo a livello narrativo lo schema dell’inno di Filippesi 2, 6-11, una della più antiche attestazioni della fede cristiana, che raffigura l’evento Cristo in termini di gloria preesistente, discesa/umiliazione e glorificazione finale. Per essere veramente Re, infatti, Gesù prima deve passare attraverso la sofferenza e la morte. I primi cristiani sono stati unanimi nell’affermare che il Venerdì santo è una necessità e non solo un incidente di percorso, al quale Dio pone rimedio con la resurrezione, e questo resta uno dei misteri più inspiegabili della fede cristiana, a cui si è cercato di dare una risposta ricorrendo alle Scritture, soprattutto riferendosi al Servo del Signore, di cui ci racconta il profeta Isaia: Gesù, giusto per eccellenza e uomo innocente, paga con la sua morte il prezzo dei peccati dell’umanità, permettendone il riscatto. Per una religione fondata sul sacrificio nel tempio com’era il giudaismo di allora, questo tipo di linguaggio era di immediata comprensione; per noi un po’ meno, ma il concetto è comunque decisamente chiaro.

Il Venerdì santo, dunque, esito drammatico di un soggiorno a Gerusalemme iniziato in maniera trionfale, costituisce un invito a credere nel Dio che si fa essere umano fino alla prova estrema, vivendo il percorso della sofferenza e della morte come espressione massima della Sua comunione con noi. Ogni anno riceviamo questo annuncio, che ci pone di fronte a ben precise scelte di vita. Davanti alla tomba che si chiude, sapremo trovare il coraggio di trovare Dio in quell’uomo che giace sulla fredda pietra?