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di Emanuele Fiume

L’Epifania è camminare nella luce di Dio, senza distogliere lo sguardo dal Cristo, luce del mondo

Torre Pellice, 4 Gennaio 2020

“Le nazioni cammineranno alla tua luce” (Isaia 60,3)

L’Epifania. La rivelazione della gloria di Gesù ai pagani. Ai magi, guidati da una stella che essi avevano interpretato quale segno della nascita regale. Erano infatti esperti interpreti degli astri, ossia cultori di una materia radicalmente proibita dalla legge di Israele. 

I magi, membri di questa élite culturale-religiosa della Persia, la cui menzione doveva infondere allora un senso di esotica fascinazione come potrebbe suscitarlo oggi un riferimento ai “cervelli della Silicon Valley” fatto al bar del dopolavoro ferroviario di Tradate, trovano la casa di Gesù, entrano nella casa, vedono il bambino, lo adorano e lo omaggiano dei loro tesori. Gesù riceve l’oro che si donava ai re, l’incenso dei sacrifici del tempio e la mirra, con cui venivano onorati i morti. Altri pagani, i legionari romani, saranno gli involontari e paradossali continuatori di questa testimonianza, ponendo sopra il capo del Crocifisso la scritta: “Questo è Gesù, il re dei Giudei” (Matteo 27,37). 

Poi i magi partono e tornano al loro paese, senza avvertire Erode e la sua corte, perché vengono avvertiti in sogno di non ripassare per Gerusalemme.

Erode, un idumeo, diventato re grazie all’appoggio militare romano, diffidente e sanguinario, costruttore del magnifico tempio di Gerusalemme (appunto detto erodiano), si oppone al re nato a Betlemme con tutti i mezzi, fino all’efferata strage degli innocenti. Il potere mondano, superficialmente ossequioso nei confronti della religione tanto da abbellire l’edificio di culto, si prodiga sciaguratamente nella missione impossibile di distruggere il re al quale Dio stesso darà ogni autorità in cielo e sulla terra.

Per Erode lavorano i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, cioè gli esperti che conoscono le Scritture e che gestiscono la religione per il bene della società e di se stessi, ma che al momento del dunque si ritrovano schierati dalla parte sbagliata. La loro conoscenza, in ultima analisi, è usata contro Gesù Cristo.

Ma torniamo ai magi. L’evangelista Matteo non riporta quanti siano, chi siano esattamente, e tanto meno i loro nomi e il fatto che siano re. Appaiono dall’oriente guidati da una stella, grazie a conoscenze e sensibilità al di fuori dalla portata dei teologi di Gerusalemme, perché chi legge e ascolta non sprechi nemmeno un briciolo di attenzione su di loro e la riservi tutta per il bambino al quale è rivolta la loro adorazione. Ciò che avverrà nella sinagoga di Nazaret, dove “gli occhi di tutti erano fissi su di lui” (Luca 4,20), avviene qui con l’adorazione dei magi: le nazioni camminano nella luce di Dio, senza distogliere lo sguardo dal Cristo, luce del mondo. Ed è ciò che avviene ogni volta che il Vangelo ci dà la possibilità di posare per fede il nostro sguardo sul Signore, senza che i poteri del mondo, nelle loro declinazioni populiste o dittatoriali, clericali o ideologicamente scettiche, siano davvero in grado di impedirlo.