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Un mese di preghiera e riflessione dedicato agli oceani

Torre Pellice, 3 Settembre 2020

Dal 1° settembre al 4 ottobre i cristiani di tutto il mondo si riuniscono per il Tempo del Creato, un periodo dedicato ogni anno al rinnovamento della relazione con l’opera di Dio che ci circonda, attraverso momenti di celebrazione, conversione e impegno comunitario ecumenico. L’idea di questo mese di preghiera e riflessione nacque nel 1989, quando il Patriarca ecumenico Dimitrios I proclamò il 1° settembre – quando inizia l’anno liturgico per gli ortodossi – giornata di preghiera per il Creato. Il Consiglio ecumenico delle chiese sposò questa iniziativa, estendendo le celebrazioni fino al 4 ottobre, quando i cattolici ricordano Francesco D’Assisi.

Ogni anno la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia pubblica un fascicolo, a cura della Commissione GLAM - Globalizzazione e Ambiente, che contiene una guida per il Tempo del Creato, con articoli di approfondimento e schede per le celebrazioni della Parola. Quest’anno il dossier, che può essere scaricato qui, si intitola “Acque marine, fonte di vita” ed è dedicato agli oceani, gravemente minacciati dall’impatto delle attività umane sul pianeta Terra. Diverse sono le iniziative che le chiese metodiste e valdesi realizzeranno in occasione del Tempo del creato. Per un approfondimento sul tema del dossier rimandiamo alla seguente intervista di David Trangoni a Joachim Langeneck, biologo marino e sovrintendente del X circuito della Chiesa valdese, che ha collaborato alla redazione del fascicolo.

Quest’anno si parla di oceani e di ambienti marini, una parte del Creato spesso sottovalutata: qual è la sua importanza per la vita sulla Terra?

In realtà l’ambiente marino rappresenta una parte fondamentale per lo sviluppo della biosfera, dato che in assenza di acqua non è possibile vita. Si ipotizza che la vita sulla Terra si sia originata proprio in ambienti marini. Ancora adesso gli oceani, attraverso il sistema di correnti che prende il nome di global conveyor belt (nastro trasportatore globale), hanno un ruolo fondamentale nel trasferire materia ed energia dagli strati superficiali a quelli profondi e viceversa. Questo processo permette la vita di immense biomasse di fitoplancton, che è responsabile della produzione del 50% dell’ossigeno atmosferico e dell’assorbimento del 30% dell’anidride carbonica. Allo stesso modo, gli oceani rappresentano al tempo stesso una riserva di acqua, e il punto del ciclo dell’acqua in cui avviene l’evaporazione e si originano le nuvole che rilasceranno acqua sulla terraferma. Non solo, quindi, la vita sulla terraferma ha origine nell’ambiente marino, ma continua a dipendere in larga parte da processi che avvengono in esso, anche quando il legame non sembra ovvio ed evidente.

Quali pericoli minacciano gli ambienti marini a causa dell’impatto dell’umanità? La pandemia rischia di peggiorare la situazione?

Le attività umane si sono storicamente interfacciate con gli ambienti marini, ricavando prima nutrimento e quindi ricchezza attraverso il commercio; questo ha avuto un impatto sugli ecosistemi marini, che localmente è evidente fin dall’età tardo-antica, ma assume una dimensione globale a partire dal XIX Secolo, con l’introduzione di tecniche di pesca industriale che portano ad un impoverimento di alcune risorse ittiche. In ambiente marino è estremamente difficile portare un organismo ad una vera e propria estinzione, dato che lo sforzo per sfruttarlo sotto una certa densità di popolazione diventa economicamente insostenibile (il valore del pescato è inferiore al costo necessario per mettere la barca in mare). Tuttavia, la rarefazione di numerose specie di grandi dimensioni (come squali, tonni, cetacei), all’apice delle catene alimentari, ha portato a flussi di energia controllati da relativamente poche specie di piccole dimensioni e a ciclo vitale rapido (come sardine e meduse), le cui popolazioni risultano molto meno stabili di fronte ad alterazioni ambientali e climatiche. Questo fenomeno è stato aggravato nell’ultimo secolo dalla massiccia introduzione in ambiente marino di materia organica e sostanze chimiche di origine industriale, che interferiscono con i cicli vitali degli organismi marini, e dal trasferimento da un bacino all’altro di specie esotiche attraverso la navigazione transoceanica. Anche interventi di apparente valorizzazione degli ambienti costieri in vista del turismo hanno in realtà l’effetto di indebolire le coste rispetto all’azione erosiva del mare e di agevolare le alterazioni causate da altri fattori. Non è chiaro quale sia il ruolo della pandemia in questo complesso scenario. Da un lato non sembra un avvenimento di grande impatto ambientale, almeno rispetto a processi in atto su scala globale da uno o due secoli; dall’altro è evidente che questa situazione di emergenza è utilizzata come scusa per effettuare politiche reazionarie da diversi punti di vista, e la protezione ambientale è certamente uno di questi.

Gli oceani sono così grandi che si corre il rischio di non sapere da dove cominciare per prendersene cura, finendo per rimuovere il problema. Il Creato tuttavia vive tempi diversi da quelli umani. Quando sarà troppo tardi per cambiare le cose e salvare la Creazione?

Per quanto la comunità scientifica continui ad affermare che gli sforzi per la protezione dell’ambiente marino sono insufficienti, in realtà la sensibilità nei confronti di questi ambienti, e l’implementazione di leggi per la loro protezione, sono in netto miglioramento. Il problema è che politiche ambientali efficaci mostrano i loro effetti su un arco di decine di anni, e un recupero sostanziale di funzione ecosistemica in alcuni casi è possibile nel corso di alcuni secoli. Come al solito, distruggere è molto più semplice che costruire, e questo rende molto frustrante il lavoro di chi è impegnato nella conservazione degli ecosistemi. Personalmente non sono convinto che “salvare la Creazione” sia un’azione alla portata delle nostre possibilità, come lo è distruggerla. La vita sulla Terra ha affrontato crisi ecologiche più gravi di quella attuale, trovando sempre una maniera per andare avanti. Il nostro problema è che il mondo come lo abbiamo conosciuto è quello in cui la nostra specie si è evoluta e quello più adatto alle nostre necessità. Non è detto che una Terra fortemente alterata dalle nostre attività sia altrettanto ospitale nei nostri confronti di quella in cui viviamo. I cambiamenti climatici stanno già rendendo inospitali ampie aree del mondo, complicando la sopravvivenza di diverse popolazioni umane, e questo ha un impatto soprattutto sulle fasce più povere e sui Paesi meno sviluppati. Non possiamo illuderci che questo non avrà conseguenze anche per le nostre società; se non per motivi morali, ci conviene per motivi assolutamente utilitaristici mantenere la biosfera nelle condizioni che agevolano la nostra sopravvivenza come specie e come società.