I link che seguono forniscono la collocazione della pagina attuale nella gerarchia di navigazione.

Le riflessioni della moderatora Alessandra Trotta sul Sinodo rioplatense

Torre Pellice, 10 Febbraio 2020

Tra il 1° e il 3 febbraio si è tenuto il Sinodo della Chiesa evangelica valdese del Rio de la Plata. Ne parliamo con la diacona Alessandra Trotta, moderatora della Tavola Valdese, che è stata membro del Sinodo stesso.

– È la prima volta che partecipa al Sinodo rioplatense. Che significato ha questa partecipazione?

«Partecipare alla sessione rioplatense del Sinodo della Chiesa valdese significa molte cose. La prima di cui mi sono resa conto è il grande privilegio di essere una Chiesa con una parte del corpo nel cosiddetto “Nord del mondo” e una parte nel “Sud del mondo”: un’opportunità unica per una visione allargata e integrata di temi e sfide comuni che la globalizzazione ci mostra sempre più evidentemente interconnessi, ma che, vissuti da prospettive differenti, sono spesso in tensione. Basti pensare al tema della salvaguardia del creato, che la sessione italiana ha scelto come tema della serata pubblica del prossimo sinodo. Credo che le potenzialità di questa nostra realtà ecclesiastica non siano state abbastanza valorizzate. Tavola e Mesa valdense stanno elaborando, anche a tale scopo, nuovi programmi di scambi di visite e di partecipazione a esperienze formative. Vi è, poi, il tema comune di come vivere una grande storia di testimonianza e di resistenza nei secoli, quale è quella da cui veniamo come valdesi, nella quale siamo radicati (per le chiese rioplatensi fatta anche delle fatiche e dalle durezze dell’esperienza dell’immigrazione), senza farne un oggetto di culto, un fossile da conservare nella teca di un museo ma considerandola risorsa da spendere in un modo che sia significativo, comprensibile, credibile per l’oggi».

– Anche nelle chiese Rio de la Plata si parla di crisi: qual è la reazione e chi se ne fa maggiormente portavoce?

«Aleggia anche lì la parola crisi: economica, politica (con gli occhi puntati su quanto accade nelle vicine Colombia e Venezuela), ma soprattutto crisi spirituale e di motivazione, che fa camminare con uno sguardo basso che impedisce di riconoscere e valorizzare – come ha chiesto con forza una deputata in un suo intervento – i luoghi, gli spazi in cui, invece, si manifestano entusiasmo, energie positive, azioni profetiche. Un’istanza molto sentita dai più giovani: ho visto una generazione di giovani competenti e appassionati, formatisi in centri della Chiesa (come il Parque 17 de Febrero, che ospita ogni anno il Sinodo), attraverso l’esperienza dei campi per bambini e adolescenti prima e poi dei campi formazione in cui, in un modo che mi è sembrato particolarmente virtuoso, una formazione di qualità sui temi educativi e delle relazioni si intreccia alla formazione biblico-teologica, mettendo al centro i temi della orizzontalità, del genere, della corporeità intesa come trama complessiva di relazioni ed esperienze della vita concreta che interagiscono con il cammino di fede. Giovani come quelli dell’équipe che ha condotto con grande autorevolezza lo spazio di formazione collettiva sul tema dell’educazione cristiana, in cui si riconoscevano chiaramente le linee della teologia della liberazione e dell’educazione popolare, che caratterizzano la riflessione e le pratica delle chiese valdesi (e di altre Chiese protestanti) in quella regione». 

– Quale idea di educazione è emersa dai lavori sinodali?

«Al centro del lavoro dei gruppi, l’educazione come cammino verso la comprensione delle implicazioni del Regno di Dio che Gesù è venuto ad annunciare e rivelare; e di maturazione della scelta di compromettersi con questo progetto, aprendosi all’opera di trasformazione personale e sociale compiuta dallo Spirito. Il passo biblico che ha fatto da filo conduttore all’intera sessione tematica, il racconto di Emmaus in Luca 24, 13-35, ha fornito le indicazioni metodologiche: ascolto, accompagnamento paziente nella condivisione del cammino, ma anche di spazi privilegiati e dedicati; l’interrogazione che incoraggia una rilettura della Scrittura e attraverso quella della propria esperienza di vita; il riconoscimento che muove a un’azione finalmente libera e liberante. È una tappa di un più generale processo di formazione e attivazione di laici e laiche della Chiesa, che ha il suo perno in un corso di “capacitazione teologica” da poco avviato, al quale si sono iscritte ben novanta persone che si spera potranno assumere ruoli di servizio e responsabilità all’interno di vere e proprie “équipe pastorali”».

– Ci sono aspetti di questa sessione sinodale che l’hanno sorpresa?

«Due in particolare. La prima è la tematizzazione, soprattutto nell’incontro pastorale che ha preceduto il Sinodo, della realtà prevalentemente rurale delle chiese. Una realtà non lontana da alcune delle esperienze più significative delle missioni valdesi e metodiste nell’800 e nei primi decenni del ’900; e forse anche dalla realtà attuale di alcune delle nostre chiese in alcune aree del Paese; ma lontana – credo – dalla loro auto-percezione: nessuna delle nostre chiese si definirebbe oggi “rurale”! Pensando che in Italia e nel mondo le realtà rurali sono quelle che soffrono più di altre un deficit di riconoscimento (dei propri valori e del proprio valore) e che più di altre subiscono il fascino delle sirene dei populismi e dei nazionalismi aggressivamente identitari, mi sembra straordinariamente interessante e potenzialmente feconda la volontà delle nostre chiese sorelle in Argentina e Uruguay di approfondire, a partire dalla dinamiche interne, le implicazioni di questa realtà per la testimonianza evangelica! 

La seconda sorpresa è stata la forte preoccupazione con cui si guarda alla crescita (supportata economicamente a livello internazionale) dei fondamentalismi evangelicali come una minaccia per l’esistenza stessa delle Chiese più aperte e dialoganti, fatte oggetto di attacchi sempre più aggressivi nel quadro di un progetto politico finalizzato all’approvazione di leggi confessionalmente orientate, che mirano ad un forte controllo della vita privata delle persone, limitativo di diritti e libertà. 

Torno a casa arricchita, anche dal calore di un’accoglienza semplice e davvero fraterna; e dalla bellezza coinvolgente delle musiche e dei canti!