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di Bruno Rostagno

Nel libro di Maria G. Girardet* un rapporto che resta vivo, fra le distruzioni e gli spiragli della malattia

Torre Pellice, 2 Maggio 2018

Thomas Soggin e Maria Girardet, sposati da 62 anni, hanno formato una coppia molto unita, anche nel lavoro. Lui pastore valdese fra i più capaci e attivi, lei «moglie di pastore», un appellativo che, nel linguaggio delle chiese evangeliche, evoca una mole di lavoro non inferiore a quella del marito. Del resto Maria non è mai stata una moglie sottomessa e obbediente; ha collaborato con la sua competenza didattica e i suoi doni, portando nell’unione la forza della sua personalità.

Nel 2015, con Laura, grande amica della loro figlia Silvia, sono passato a salutarli. Lui mi ha detto:«Ho l’Alzheimer». Per me è stato un brutto colpo; lui l’ha detto con il tono di chi si prepara ad affrontare una lotta. La sua intelligenza, lucida nel pensare, programmare e organizzare, si è sempre unita alla volontà del lottatore.

Il fatto brutale è che l’Alzheimer stravolge la capacità di lottare. Navighi in un vuoto intellettuale ed emotivo. L’incapacità si riflette nel rapporto con la persona che ti è più vicina: «Mi sembra di non amare più una persona che ho amato tutta la vita» (p. 63). Più cerchi di trovare un senso allo sconvolgimento che stai vivendo, più tutto ti sfugge: «Qualcosa dev’essersi infranto dentro di me. Mi trovo in una fossa dalla quale non riesco a uscire. Sono estromesso da me stesso» (p. 132).

Chi lotta strenuamente è Maria, la cui fede si traduce in forte resistenza. «La nostra vita è e sarà una scala in discesa. Spero però di poterla scendere insieme a te» (p. 67). Mentre cerchi come puoi di rallentare quella discesa, si tratta di resistere mantenendo il controllo di te stessa e cercando di capire la malattia nelle sue fasi, anzi, nei suoi momenti. Perché la situazione è in continuo mutamento: «Mi convinco sempre di più di quanto questa sia una malattia non inquadrabile in alcuno schema e, in questo senso, subdola. Se un giorno va bene, sei tranquillo e collaborativo, non mi devo illudere. Domani non è detto che sarà così. Viceversa se un giorno sei particolarmente nero, sei aggressivo e ostinato come un mulo, non mi devo disperare, domani è un altro giorno» (p. 126).

Così Maria, in mezzo alle decisioni che la malattia rende necessarie, si prende la libertà di tenere un diario. Non per il piacere sadico della descrizione. Piuttosto per tenere in piedi quel rapporto che la malattia fa di tutto per distruggere. Infatti il diario è in realtà un dialogo; un dialogo appassionato con Thomas. Non più Thommy, come lei, i familiari e gli amici l’hanno sempre chiamato. Thomas, come è diventato nelle mani del medico curante. Del resto lei, al «Caffè Alzheimer» dove lo porta al giovedì dal 2017, è «caregiver», colei che si prende cura.

Chi è più vivo, in questo dialogo? Maria, certo, con la sua intelligenza di moglie affettuosa e sollecita, con i suoi momenti di disperazione, con i suoi sbagli inevitabili, con il suo bisogno di spazi per sé, di momenti di respiro. I figli Luca e Stefano e la figlia Silvia con il marito, le due figlie, il figlio si adoperano per renderli possibili dando compagnia e assistenza in casa e in viaggi anche lunghi, in luoghi frequentati in passato o anche nuovi, per lei un ricordo che rivive o una scoperta, per lui uno stimolo a cui talvolta riesce a reagire.

Ma risulta vivo anche Thomas, nei suoi ricordi di infanzia, nelle sue recitazioni di poesie olandesi, imparate dalla nonna e dalla madre, nelle sue espressioni di affetto, nelle sue difficoltà di linguaggio. Lui, che ha padroneggiato diverse lingue, che ha sempre trovato e dato piacere nel comunicare, conosce ora l’infinita angoscia di non poter più comunicare.

Cinque anni di sofferenze e di parziali riuscite, raccontati con meravigliosa naturalezza, con una scrittura affabile e coinvolgente, con una lievità che lascia trasparire sentimenti profondi e incancellabili. «Mi sei caro anche così come sei, con la tua debolezza, con la tua incoerenza e perfino con l’aggressività verso di me» (p. 118). Soffriamo anche noi, leggendo, eppure impariamo. Impariamo molto.

*Maria G. Girardet, Tu e io, Edizioni Giuseppe Laterza, Bari 2018.