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di Pawel Gajewski

Avvento

In molte case al centro dell’attenzione si trova in questi giorni il cosiddetto calendario dell’Avvento. Si tratta solitamente di un contenitore a forma di quadro, con piccoli scomparti numerati da 1 a 24; dentro ogni scomparto si nasconde una piccola sorpresa. Questa usanza che oggi serve per segnare piacevolmente i giorni che mancano al 25 dicembre ha una forte radice evangelica. Infatti alla sua origine si trova un percorso di ventiquattro versetti biblici che i bambini imparano a memoria, uno al giorno. Per invogliarli a questo sforzo mnemonico ogni versetto è accompagnato da un dolcino, una caramella, una noce o da un altro piccolo regalo di questo genere. Così l’Avvento diventa un tempo dell’attesa attiva e l’annuncio della salvezza si fa ogni giorno più chiaro ed esplicito, fino alla gioiosa esplosione della Buona Novella nel giorno (o piuttosto nella notte) di Natale. L’annuncio della salvezza è dunque il filo conduttore dell’avvento e il personaggio che rappresenta questo filo conduttore è Giovanni Battista, chiamato in alcune versioni italiane del Nuovo Testamento “Il battezzatore”.

Se accettiamo che Giovanni – anziché essere chiamato “il battezzatore” – dovrebbe essere visto come “annunciatore” allora nei nostri giorni è la Chiesa di Gesù Cristo nella sua totalità a continuare la sua missione di annunciare Colui che viene. L’etimologia del termine ecclesia richiama il verbo greco ‘kaleo’ (chiamare) con il prefisso ‘ek’ (fuori). Infatti Giovanni esercitava la sua missione principalmente fuori delle mura delle città. Il prefisso ‘ek’ tra tutte le possibili sfumature del suo significare potrebbe indicare anche una presa di distanza dalla realtà circostante. Una presa di distanza che non significa isolamento bensì una prospettiva dalla quale le cose si vedono con maggiore chiarezza; la distanza e la chiarezza ma al tempo stesso la presenza attiva e la capacità di dire con franchezza e coraggio ciò che si pensa.

V’è oggi una serie di domande che toccano le fibre più sensibili del nostro essere chiesa. Con quale spirito accogliamo l’annuncio della salvezza? Con quale intensità siamo capaci di trasmetterlo? Quale tipo di umanità tale annuncio incontra? In quale modo risuona, quando risuona? Quale linguaggio è meglio compreso dalle persone del nostro tempo? Siamo noi, sono le nostre chiese veramente disposte a diventare una nuova incarnazione di Giovanni? Crediamo fino in fondo in ciò che andiamo affermando nei culti, nelle celebrazioni, nelle nostre confessioni di fede? E, noi, siamo credibili?

Il tempo liturgico d’Avvento dovrebbe favorire la ricerca delle risposte a queste e alle altre simili domande che ogni chiesa locale dovrebbe adeguare alla propria situazione. Senza dimenticare tuttavia che l’Avvento è un tempo di gioia e di speranza. Condizioni meteorologiche, mali di stagione, i nostri e quelli di nostri figli, ansie prefestive legate al denaro (che non basta mai), tutto questo può favorire la depressione e il senso di frustrazione. Le letture bibliche e la liturgia cristiana in questi giorni annunciano invece la potenza luminosa del nostro Dio, l’alba nuova dell’umanità e la scomparsa di ogni forma di ingiustizia. Non si tratta di effimeri annunci pubblicitari o di antidepressivi a basso costo. Sono parole capaci di operare oggi una trasformazione veramente radicale.

7 dicembre 2015