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di Sara Tourn

Dopo il successo dell’iniziativa su Giobbe in occasione della settimana di evangelizzazione, la Chiesa valdese di Genova organizza un secondo ciclo di incontri dedicato al libro dell’Ecclesiaste (in ebraico Qohelet). Il modello è il medesimo, la lettura integrale seguita da un pomeriggio di dibattito e uno di approfondimento su temi presenti nel testo o stimolati da esso.

Si comincia lunedì 24 novembre alle 16 con la lettura dei dodici capitoli da parte di altrettante voci, intervallata dall’esecuzione di brani musicali moderni, eseguiti da Susanna Massetti (canto), Luca Terzolo (tastiere) e Simone Cosso (chitarra acustica). Martedì è il giorno del confronto fra generazioni sulla possibilità di uno spazio per la costruzione del mondo futuro. Dalle 17, intervengono Pietro Canale, giovane architetto hockeysta del Valpellice Bulldogs, Giovanna Terminiello, già sovrintendente delle Belle Arti di Genova e critica d’arte, e il filosofo Michele Corioni.

Il terzo momento, dedicato all’approfondimento, si tiene giovedì alle 17,30 e prevede il confronto fra più approcci, quello ebraico (il rabbino di Genova Giuseppe Momigliano), quello protestante (il saggista e scrittore Sergio Paolo Ronchi di Milano) e quello laico (il dirigente scolastico Aureliano Deraggi di Genova). Modera e conclude il pastore della Chiesa valdese di Genova-Sampierdarena, Massimo Marottoli.

Come spiega il pastore della Chiesa valdese di via Assarotti, Italo Pons, animatore dell’iniziativa, «Qohelet è un testo profondamente filosofico, in maniera radicale. Spicca per il suo incessante domandare e per l’essenzialità della questione posta: perché fare il bene? Perché fare il male? Qual è il criterio di giustificazione per una determinata condotta morale? Il criterio è lo sfondo sul quale muoviamo le nostre intenzioni, quasi una volta alla quale teniamo aggrappate le nostre convinzioni. Ma quando è la volta stessa a crollare? Quando non troviamo un motivo valido per continuare a vedere il mondo nel modo consueto? Anche al verificarsi di questa crisi, non cede l’anelito alla risposta, ma le false sicurezze, che non sono più in grado di sostenere la richiesta di fondamento per l’azione morale, l’azione umana che trae il proprio senso da sé stessa e non è fondata su nient’altro. Lo sguardo filosofico si ferma qui. Lo sguardo di fede è in grado di approfondire l’autofondazione della moralità, scopre che le domande sul bene e sul male hanno una fondazione nella trascendenza. Questa trascendenza (Dio) è in grado di illuminare e sostanziare il Sé dell’uomo, quel Sé in cui il filosofo cerca risposta al senso del bene e del male. Ma la radicalità di Qohelet spicca anche in un altro modo. La sua riflessione, infatti, non è destinata ai pochi, ma a tutti gli uomini e le donne. A tutti coloro che fanno del loro vivere il problema insoluto e affascinante dell’esistenza».

Come leggere e avvicinarsi a questo testo enigmatico?
«Qohelet è un’impresa complessa. Come una salita impegnativa verso la cima di una montagna. Si va via presto dal rifugio nel quale abbiamo bivaccato, quando le ombre della notte non si sono ancora dileguate. Qohelet attende proprio in quell’inizio di sentiero che ci porterà lassù, in vetta. Il nostro sguardo è rivolto al cielo e ci si domanda come sarà la giornata. Bisogna arrivare in cima non troppo tardi per ridiscendere in tutta sicurezza. Qohelet è come quel sentiero. Proviamo allora a seguire questo arduo, quanto appassionante, itinerario. L’orizzonte al quale dobbiamo guardare potrebbe essere riassunto nelle parole di Alphonse Maillot: “Dalla lettura di Qohelet non si esce indenni ma adulti o pronti a diventarlo”».

Tratto da Riforma del 21 novembre 2014