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di Sabina Baral

Dal 16 ottobre al 29 gennaio, il giovedì alle ore 18.00, la Facoltà valdese di teologia di Roma propone un ciclo di dodici lezioni dal titolo «Quale unità della chiesa?». Aperto a tutti, il corso è incentrato sul dibattito ecumenico e i suoi sviluppi nel corso del tempo, prendendo in esame anche la crisi che sembra attraversare oggi il dialogo ecumenico e individuandone le prospettive future. Il corso è tenuto dal professor Fulvio Ferrario che ci offre qualche considerazione sul tema.

Fulvio Ferrario, prof. della Facoltà valdese di teologia (foto Riforma/Romeo)

Ci può riassumere brevemente le finalità del corso? L'ecumenismo è qualcosa che si può solo vivere o si può anche studiare?
Il corso costituisce un’introduzione elementare all’attuale dibattito teologico in ambito ecumenico, che certamente è anche una materia di studio, non alternativa, ma del tutto complementare alla pratica quotidiana di fraternità con i cristiani e le cristiane di altre confessioni. Ci rivolgiamo sia ai futuri pastori, che devono essere in grado di rispondere con precisione e chiarezza alle classiche domande sul tema, sia a un pubblico più largo di persone interessate all’argomento, nelle nostre chiese e, auspicabilmente, anche al di là di esse.

L'ecumenismo oggi è costretto a misurarsi con la crisi di fede che la nostra epoca sta attraversando. Come fare fronte alla sfida rappresentata da molti nostri contemporanei che non avvertono più l'assenza di Dio dalla loro vita come una privazione?
Edimburgo 1910: prima assemblea ecumenicaVolendo essere provocatori (o anche, più semplicemente, sinceri) si potrebbe affermare che questa domanda denuncia un fatale ritardo della discussione tra le chiese rispetto ai problemi reali dell’annuncio cristiano nel nostro tempo. Di fatto, la discussione ecumenica è spesso concentrata su questioni del tutto estranee all’interesse della grande maggioranza delle donne e degli uomini ai quali diciamo di rivolgerci. Detto questo, la divisione tra le chiese esiste e va, in un modo o nell’altro, superata. Forse sarà la storia, e non il nostro lavoro teologico, a farlo. Il corso si colloca a un livello più modesto, esaminando alcuni problemi sul tappeto e formulando proposte di soluzione, se la parola non appare presuntuosa.

La pratica ecumenica necessita di un dialogo attento e paziente. Ma essa non richiede anche un abbandono alla volontà di Dio al cui servizio dovremmo renderci tutti disponibili?
Se qualcuno pensa di uscire dall’attuale stagnazione soltanto in forza di elucubrazioni teologiche, compie un grave errore. Corso 'Quale unità della chiesa?'A volte, però, il sacrosanto appello alla volontà di Dio è utilizzato, secondo me strumentalmente, per rassegnarsi a pregiudizi e blocchi dei quali Dio ci chiederà conto. La teologia ecumenica è un’impresa molto modesta e forse anche, per le ragioni appena ricordate, di retroguardia. Nel suo piccolo, essa è però utile se riesce a denunciare il carattere non autentico di molte contrapposizioni e, proprio in tal modo, a individuare il nucleo di quelle reali. Se il lavoro teologico ci aiutasse a evitare di confondere la volontà di Dio con le beghe di potere di cerchie clericali ansiose di tutelare i propri monopoli (questo, in sostanza, è il tema al centro di molte discussioni, pudicamente definito «problema della struttura ministeriale della chiesa»), esso svolgerebbe un servizio umile, ma forse benedetto.

1 ottobre 2014