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di Sara Rivoira

Monumento di Chanforan, valle di Angrogna (TO)

Nel quadro delle disposizioni connesse alle Intese tra lo Stato italiano e la Chiesa valdese, stipulate con legge 11 agosto 1984, n. 449, erano previste dall'art. 17 apposite commissioni miste per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali delle chiese rappresentate dalla Tavola Valdese. In ottemperanza a questa norma la Tavola nominò successivamente una commissione per avviare questo processo di cui era presidente il prof. Giorgio Spini.
La realizzazione del programma di salvaguardia a e tutela richiese naturalmente tempo e impegno da parte degli uffici della Tavola valdese e delle sovrintendenze regionali. Si è trattato infatti di condurre un inventario accurato dei beni non solo di proprietà delle chiese metodiste e valdesi ma in qualche modo afferenti alla storia e all'identità delle chiese stesse.
Con la nomina della nuova commissione sono state riprese le trattative con il Ministero dei Beni culturali e avviata la compilazione di schede descrittive del nostro patrimonio. Sara Rivoira, segretaria della suddetta commissione, ha fornito un quadro del progetto e della sua importanza in un articolo pubblicato sul settimanale Riforma.

Con l’inizio del 2013 le Chiese valdesi e metodiste, gli istituti e gli enti ad esse legati, sono stati invitati a compilare una Collegio dei Barba, valle di Angrogna (TO)scheda che descriva il patrimonio storico e culturale mobile da loro posseduto. L’intento è quello di fare un primo censimento dei nostri beni culturali, al fine di promuoverne la piena tutela e valorizzazione, nel quadro dei rapporti che la Tavola valdese intrattiene con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e che rientrano nell’ambito dell’Intesa con lo Stato italiano.

Perché dedicarsi a questo lavoro e come fare a riconoscere che cosa è degno di essere censito come bene culturale e cosa no? La storia del nostro patrimonio culturale – di cui fanno parte ovviamente anche gli edifici – è una storia tutto sommato antica, che in alcuni casi inizia con il Cinquecento e continua nel corso dei secoli. Una storia talvolta poco conosciuta o della quale spesso si conoscono solo alcuni pezzi, quelli più celebri e anche dalle valenze simboliche più rilevanti. Fra i beni culturali più conosciuti ci sono alcuni siti o luoghi, come il prato di Chanforan dove i valdesi riuniti decisero di aderire alla Riforma protestante nel 1532, o templi come vetrata della Chiesa metodista di Roma, via XX Settembre, ang. via Firenzequello metodista di Via XX Settembre a Roma, o ancora dipinti o vetrate di pregio. Se questi oggetti o siti fanno parte di un patrimonio culturale collettivamente riconosciuto, molti altri concorrono ugualmente a formare il patrimonio culturale delle nostre chiese.

Succede spesso che siamo talmente abituati a vedere un oggetto che pensiamo raramente al suo valore come “bene culturale”. Non si tratta infatti di considerare solo le cose che rispondono alla categoria del “bello” o del “pregio artistico”, ma anche «quanto di noi e del mondo che ci circonda, assume il valore di parte costitutiva e vitale del nostro essere e del nostro porci in relazione con gli altri – singoli individui e gruppo, comunità e collettività, sino all’umanità stessa, presente, interno di una chiesa passata e futura – e che pertanto, consapevolmente o meno, sentiamo e consideriamo essere eredità ricevuta e da trasmettere» (*).

Di alcuni di questi beni è riconosciuto il valore storico, perché oramai non più oggetti di uso: sono conservati in luoghi appositi, come le collezioni del Museo della Fondazione Centro culturale valdese o quelle delle Scuolette Beckwith alle Valli valdesi. Ma sono anche, oltre agli edifici all’interno dei quali celebriamo ogni domenica il culto, le panche sulle quali ci sediamo, rivolti ad ascoltare predicatori installati su scricchiolanti pulpiti in legno; sono i calici che si usano per la Santa Cena o il vecchio organo che accompagna il canto. Sono oggetti che non trovano spazio in una teca, oggetti del passato non ancora consacrati alla Storia, ma parte del nostro presente. In tal senso sono gli oggetti di uso, quelli che ci rappresentano perché nell’uso che ne facciamo come comunità risiede il loro essere “parte costitutiva e vitale” del nostro essere e del nostro porci in relazione. Sui tavoli della Santa Cena delle nostre chiese campeggia solitamente la Bibbia aperta: sono spesso volumi di carattere storico, talvolta di pregio, ma che hanno anche un forte valore simbolico e che esprimono un concetto fondamentale della fede protestante nella quale valdesi e metodisti si riconoscono.

Questi oggetti sono di uso corrente ed è giusto che rimangano tali, ma devono anche essere adeguatamente custoditi, affinché se ne limitino i danneggiamenti e il rischio di dispersione o furto; vanno riconosciuti per il loro valore e di essi bisogna prendersi cura, come patrimonio trasmessoci dalle generazioni che ci hanno preceduti, che della loro storia e vita Tempio di Rorà (TO)sono l’espressione e che noi a nostra volta dobbiamo essere in grado di trasmettere alle future generazioni.

Si sta per ora realizzando una ricognizione, che però vuole essere capillare e che vuole mettere in comune dati e situazioni che altrimenti resterebbero a sola conoscenza di chi vive in un determinato territorio. Si tratta di dare valore a quanto è in grado di dire qualcosa della storia sulla quale si fondano le nostre chiese oggi e che sono il segno di una testimonianza radicata nel tempo e nei luoghi. Il percorso comune che sta davanti a noi è fare sì che ogni chiesa o istituto si prenda cura dei suoi beni, li valorizzi e possa farne anche oggetto di comunicazione verso l’esterno. Un’antica lapide o uno sbiadito versetto sul muro possono dire moltissimo di quello che siamo stati e di quello che siamo oggi: dobbiamo metterci nelle condizioni di conoscere, salvaguardare e spiegare gli oggetti che circondano la nostra quotidianità di chiesa, come patrimonio comune.

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(*) (Héritage(s). Formazione e trasmissione del patrimonio culturale valdese, a cura di D. Jalla, Torino, Claudiana, 2009, p. 9).

Tratto da Riforma del 17 maggio 2013