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di Eugenio Bernardini

Il discorso del moderatore dopo l'elezione della Tavola Valdese
Eugenio Bernardini, eletto moderatore per il terzo anno (foto Riforma/Romeo)

Care sorelle, cari fratelli, al termine di questo Sinodo – intenso come sempre – vorrei esprimere prima di tutto una parola di gratitudine a Dio per il servizio che tante sorelle e tanti fratelli continuano a donare alla missione alla nostra Chiesa – che è un’unione di chiese – e per il sostegno e la comprensione che ricevono dalle loro famiglie. Senza questo servizio – che considero un miracolo con cui il Signore ci benedice – la nostra chiesa non sarebbe quello che è: una comunità cristiana solidale, fraterna, trasparente. Con tutti i limiti umani, e nostri particolari.

Vorrei unire tutte queste persone nel ringraziamento che rivolgo a chi lascia il servizio in Tavola dopo tanti anni: Adriano Bertolini, Daniela Manfrini e Ruggero Mica. Il servizio in Tavola è molto impegnativo: per le modalità di lavoro e per i contenuti di questo lavoro, perché si devono «amministrare» le risorse comuni, soprattutto umane, non solo per l’oggi ma anche per il domani, pensando agli sviluppi futuri di crescita o di decrescita per non trovarsi (troppo) spiazzati dai cambiamenti. Adriana, Daniela e Ruggero si sono spesi molto per il servizio alle nostre chiese, con le loro caratteristiche, con i loro doni, inserendosi nel lavoro collegiale della Tavola, facendo bene e sbagliando – come accade a tutte e a tutti coloro che servono nella chiesa – facendosi capire e anche no, come accade sempre nelle dinamiche del nostro corpo ecclesiastico. Diciamo grazie a Adriano, Daniela e Ruggero sapendo che continueranno a rendere il loro servizio, anche se in forme diverse.

Viviamo tempi difficili, care sorelle e cari fratelli.
Alla crisi economica e sociale, che continua a frustrare le speranze degli europei, e degli italiani in particolare (l’assessore all’Istruzione-Lavoro-Formazione della Regione Piemonte Pentenero ci ha ricordato in occasione della serata pubblica di lunedì 25 agosto che la situazione è e resta molto difficile), si aggiungono le guerre «in nome di dio» (e uso intenzionalmente la -d- minuscola). Un orrore blasfemo nel quale cupi guerrieri invocano un dio senza amore, violento e vendicativo. Sinodo delle Chiese valdesi e metodiste 2014 (foto Riforma/Romeo)Un dio che non ritroviamo in nessuna scrittura rivelata ma solo nelle menti deliranti di chi cerca una legittimità che nessun dio gli potrà mai dare.

Uccidere, violentare e torturare nel nome di una fede è un abominio, e tutti noi dobbiamo denunciarlo come tale: come un peccato blasfemo che offende il volto e il cuore di Dio. È il virus feroce dei fondamentalismi che, come un’erba cattiva, cresce anche nei nostri orticelli europei e italiani: antisemitismo, nazionalismo, xenofobia, omofobia, pregiudizio.
Su di noi, uomini e donne di fede, più che su altri, ricade il compito di vigilare e contrastare questo virus sempre risorgente perché distrugge il seme della Buona Notizia che noi, umilmente, cerchiamo di spargere.

Viviamo tempi difficili anche come chiese protestanti della vecchia Europa, non solo della vecchia Italia: secolarizzazioni varie, multiculturalismo, globalizzazione, nuovi linguaggi hanno sconvolto percorsi e identità consolidate nei corpi ecclesiastici di tutte le chiese europee, almeno di tutto quelle di antica tradizione e istituzione, comprese le cattoliche e ortodosse.

Anche in questo Sinodo – per esempio nel saluto del past. Xavier Paillard, presidente del Consiglio sinodale della Chiesa riformata del Cantone di Vaud, Svizzera – ci è stato raccontato come le chiese sorelle in Europa stanno affrontando riduzioni anche profonde di risorse umane e finanziarie, riorganizzando strutture ecclesiastiche e organismi territoriali, riducendo, a volte in modo drastico, il numero dei luoghi di culto, e cercando di affrontare la perdita verticale di udienza sociale.
Viviamo tempi difficili...: lo ripetiamo non per farci deprimere ma per essere lucidi sulla nostra situazione e non coltivare false illusioni. Infatti, grazie a Dio, non abbiamo perso la fiducia, non abbiamo perso la speranza, non abbiamo perso la voglia di progettare e di impegnarci. Un po’ qua e un po’ là, in tutta Europa, e anche nella nostra piccola Unione di chiese metodiste e valdesi, proviamo a ripartire con la mission consegnataci dal Maestro – come la Settimana di evangelizzazione, che ci ha fatto riscoprire la gioia di proporre, al di fuori delle mura ecclesiastiche, la condivisione del cammino della fede – come la spinta a integrare in una comunità solidale e inclusiva, uomini e donne, giovani e anziani, nativi italiani e di altri continenti presenti in Italia.

Proviamo a ripartire con un nuovo sforzo di comunicazione verso l’esterno, con Riforma che si fa in 4 e cercando di incontrare nei vari territori quel popolo di contribuenti che ci affida l’Otto per mille e che tra noi può trovare anche la sua casa spirituale. Proviamo a ripartire con una sfida rinnovata sul piano ecumenico e interreligioso, in particolare con i segnali di nuova fraternità che ci giungono da vari livelli della Chiesa cattolica romana, che apprezziamo e che ci impegniamo ad approfondire. Sinodo 2014 delle Chiese valdesi e metodiste (foto Riforma/Romeo)Insomma, ci stiamo nuovamente provando, con modalità e linguaggi che non sono più quelli di ieri e probabilmente non sono ancora quelli di domani: in poco tempo e un po’ di corsa, stiamo costruendo un nuovo orizzonte di riferimento, il più possibile condiviso, in sostituzione di quello precedente, che si è stratificato nel corso di secoli, non di anni!

Compito difficile, perché non vogliamo staccare il nostro legame con il passato, il meglio del passato, che ha saputo legare fede e ragione, cultura e teologia, identità e apertura ecumenica, amore per la libertà e per i diritti di culto e religione insieme alla libertà e ai diritti della coscienza e della persona umana (lo abbiamo sottolineato nella serata pubblica), tipiche del protestantesimo liberal di cui siamo parte. Non vogliamo dunque staccare il nostro legame con il passato, ma sappiamo che ora è necessario e urgente un cambiamento profondo che dev’essere, però, il più possibile coerente e non approssimativo per non perdere credibilità, autorevolezza, udienza sociale.

In questo, siamo un po’ come i nostri fratelli migranti: dobbiamo partire da una terra sempre più povera e senza prospettive verso una nuova da cui ci si aspetta comunque il meglio, o almeno il senso del nostro essere testimoni di una fede antica, eppure sempre nuova, vissuta non in solitudine ma in una comunità di fratelli e di sorelle, e senza dimenticare la nostra responsabilità sociale.

Ancora una volta affrontiamo questa «fatica» della testimonianza evangelica con l’incoraggiamento della parola apostolica che promette: «la vostra fatica non è vana nel Signore» (I Corinzi 15, 58), ma soprattutto con la certezza che si adempie anche per noi oggi la promessa di Dio: «[la mia parola] non torna a me a vuoto, senza aver compiuto ciò che voglio e condotto a buon fine ciò per cui l’ho mandata» (Isaia 55,11).

Vorrei concludere richiamando il versetto-guida della Settimana di evangelizzazione di quest’anno: «Dio, che dà speranza, vi riempia di gioia» (Romani 15,13). Noi non siamo senza speranza, non solo perché «avere perso la speranza significa essere perduti, seppelliti in sepolcri senza più vita» (Maria Bonafede, Un giorno una parola del 21 agosto 2014), ma soprattutto perché siamo convinti che credere in Dio e sperare siano la stessa cosa.

Sinodo 2014 delle Chiese valdesi e metodiste (foto Riforma/Romeo)

La speranza è un dono di Dio elargito anche nel nostro tempo, anche alle nostre chiese, nonostante «notre pauvreté et petitesse» come dichiara la Confessione di fede valdese del 1655, art. 33. Dove petitesse non significa solo piccolezza numerica, ma anche spirituale, e infatti la traduzione in italiano del 1662 dice «povertà e bassezza». E noi siamo qui, per compiere il nostro servizio di umili testimoni dell’Evangelo per l’umanità di oggi, proprio perché siamo resi forti e fiduciosi dalla speranza che per grazia di Dio in Gesù Cristo riceviamo ogni mattina con il sostegno dello Spirito Santo.

«Dio, che dà speranza, vi riempia di gioia» (Romani 15, 13). Ricordiamo questa parola apostolica e che il Signore ci benedica e ci guardi.

29 agosto 2014