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di Paolo Ribet

«Io farò di te una grande nazione ... tu sarai fonte di benedizione»

Dio parla, Dio agisce. Diciamo meglio: Dio stesso è azione. Gli esegeti fanno notare che il nome stesso che viene svelato a Mosè dal pruno ardente non è un sostantivo, ma un verbo: «Io Sono». Di più: «Sono io che chiamo all’esistenza ciò che ancora non è». Questo è il nome del Signore che ora chiama Abramo perché divenga il seme di una nuova umanità, un popolo fedele in mezzo ad una umanità riottosa e violenta. In un uomo riposa la benedizione per tutte le generazioni. Abramo non è un santo e la sua fede si mostrerà a più riprese timida e vacillante. Sarà preoccupatissimo per un figlio che non si decide a nascere e tenterà tutte le scappatoie legali per garantirsi un erede.

Ma Dio non dipende dalle potenzialità di quelli che chiama. Abramo e Sara, infatti, ne sono del tutto privi. La parola di Dio ha in sé tutto ciò che basta a dar vita a un nuovo popolo nella storia. La potenza di questa parola è straordinaria. Essa parla di futuro a una famiglia che non ha alcuna speranza per il domani.

Abramo, come Giuseppe e come Maria, guarda alla realtà di cui è portatore quasi inconsapevole: laddove la ragione e l’esperienza umane non possono aspettarsi nulla, di lì sgorga la vita, di lì nasce la benedizione.

È una parola grande, benedizione. E non riguarda solo un popolo “eletto”, a scapito di tutti gli altri. Ha una portata universale. Lo aveva capito bene l’apostolo Paolo, il quale scrive ai Galati: «affinché la benedizione di Abramo venisse sugli stranieri in Cristo Gesù, e ricevessimo, per mezzo della fede, lo Spirito promesso» (Gal. 3,14). È questo il senso del Natale, che ogni anno celebriamo e che anche oggi ci pone davanti la benedizione promessa.