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di Letizia Tomassone

«Gesù gli disse: “Va' a casa tua dai tuoi, e racconta loro le grandi cose che il Signore ti ha fatte, e come ha avuto pietà di te”. Ed egli se ne andò e cominciò a proclamare nella Decapoli le grandi cose che Gesù aveva fatte per lui. E tutti si meravigliavano.»

Gesù guarisce e cerca così di infondere libertà e gioia nella vita di chi incontra. Non crea però un legame di dipendenza ma fa crescere la persona nella sua autonoma capacità di giudizio. In questo racconto, Gesù non vuole che l’indemoniato guarito lo segua, ma lo rimanda alla sua vita, alla sua città, al suo contesto locale. E’ lì che la sua nuova libertà deve trovare spazio.

La libertà di coscienza fa parte della pienezza della dignità umana, della vita umana. E questo in ogni paese e in ogni diversa cultura. E’ un dato incomprimibile dell’esistenza umana, e la prassi di Gesù esalta questa capacità umana, la alimenta. Libera dai vincoli che tengono prigioniera la vita: le malattie, i demoni interiori e le grandi forze sociali oppressive.

Quando appoggiamo la ricerca di libertà di coscienza di qualcuno in un contesto ostile possiamo ricordare queste parole di Gesù: la libertà di cui ognuno di noi gode è frutto di un dono. Un dono da condividere. La libertà allora crea gioia: la meraviglia delle persone di fronte al racconto dell’indemoniato non nasce solo dalla guarigione, ma dal fatto che Gesù lo rende libero. Non sostituisce una dipendenza con un’altra, ma con la ricostruzione delle sue relazioni. La fede ci rimanda così alla nostra vita, dove ricostruire le nostre relazioni lacerate da quelle prigioni che l’avevano rinchiusa. La fede è apertura e rinascita, e dà motivo di gioia quando è comunicata.