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di Giuseppe Platone

«Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito con sale, per sapere come dovete rispondere a ciascuno» (Colossesi 4,6)

L’esortazione che l’apostolo Paolo rivolge alla piccola e tribolata comunità cristiana di Colossi, cittadina dell’antica Frigia (oggi in Turchia) non è lontana dai nostri guai attuali. Paolo, nel quadro della chiesa nascente, temeva fortemente che il culto cristiano scivolasse verso derive filosofiche o speculative, e che Cristo quindi non fosse più al centro della vita di fede.

La piccola comunità di Colossi si trovava immersa in una realtà urbana cosmopolita. Nella quale erano confluiti ebrei dalla Mesopotamia e da Babilonia; certo, la maggioranza era autoctona, cioè gente della Frigia, ma non pochi erano coloni greci. Movimenti significativi di popolazioni, cadenzati da emigrazioni ed immigrazioni, costituivano una delle caratteristiche dell’Impero che cercava di tenere insieme differenze culturali notevoli evitando di farle esplodere. Su questo terreno di accentuate pluralità anche in materia religiosa (culti misterici, speculazioni astrologiche, filosofie gnostiche, dualismi...) c’era da discutere non poco.

Paolo svolge le sue argomentazioni con uno stile che non concede nulla ai sincretismi e ai compromessi, offre invece una difesa della fede nel Cristo risorto. Che non è un dio tra gli dei, o un mediatore accanto ad altri mediatori della divinità. Cristo ricopre un ruolo esclusivo nella riconciliazione tra Dio e la creazione. Gli argomenti di questo playdoyer paolinico sono numerosi.

La lettera in fondo vuole fornire alla giovane comunità di fede due cose: innanzitutto un robusto incoraggiamento in una situazione non facile; e poi degli argomenti, delle idee, una visione, degli spunti, una teologia insomma, per confessare con maggiore consapevolezza - in circostanze culturalmente ingarbugliate - la propria fede in Cristo. Tra i suggerimenti incontriamo la raccomandazione ai credenti che il loro parlare «sia sempre con grazia, condito con sale per sapere come rispondere a ciascuno». Poveri colossesi, confrontati con argomenti complessi; ma anche poveri noi.

Se penso al nostro parlare di oggi, attraverso i social media, mi prende l’affanno. Appena lanci sulla piazza virtuale un’opinione, una proposta vieni applaudito o insultato. O bianco o nero. Mancano gli argomenti, le analisi storiche che permetterebbero di capire meglio i fenomeni di odio, di razzismo, di emarginazione. La nostra sfida riguarda il modo con cui stare oggi nel mondo del web (con tutte le sue possibili manipolazioni e fake news) cercando però di parlare al cervello più che alla pancia. Come credenti e cittadini digitali abbiamo la responsabilità di mantenere alto il livello delle riflessioni, con argomenti che non prescindano mai dalla nostra responsabilità personale. Tentando di offrire un contributo critico capace di smascherare l’odio e le pulsioni distruttive in nome di una possibile e necessaria convivenza tra diversi.

La sfida è muoversi senza cedere a polemiche violente, insulti, disprezzi ma esprimendo con cura e autocontrollo le proprie ragioni. In fondo siamo chiamati a rispettare (vorrei dire amare) chi non la pensa come noi. Al gioco al massacro che, sovente si svolge sui social media fomentato da un inaudita crudeltà, occorre contrapporre la nostra coscienza critica (e storica) per garantire a tutti spazi di libertà, prendendo le distanze da logiche violente e sguaiate quasi che chi grida di più o sbatte i pugni sul tavolo abbia  ragione. La Parola in cui crediamo è testimoniata, anche, dalle nostre parole scritte e pronunciate.