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di Letizia Tomassone

«Non siete voi che parlate, ma è lo Spirito che parla in voi».

Nel giorno dell’ascensione Gesù manda i suoi discepoli a predicare, come aveva già fatto durante il suo ministero. La parola che devono portare non è loro, perché non si mettano al centro della scena. E’ l’annuncio di un mondo trasformato dall’amore e dalla giustizia di Dio che deve circolare e diventare lievito di una nuova convivenza.

Anche noi siamo inviati, non a portare la nostra identità confessionale, ma la notizia strepitosa di un Dio vicino. Siamo inviati dopo la croce, che segnala il conflitto e la denuncia del male insita nell’invito a lasciarsi convertire dall’evangelo. Ma siamo anche inviati dopo la resurrezione, segno di riconciliazione e di nuova creazione. La forza di questo invio è nello Spirito, non in noi. Un vento che ci avvolge e ci porta e ci fa parlare: è la sostanza stessa del soffio che costituisce la nostra parola. Senza respiro non possiamo parlare, senza quell’energia che ci muove non sappiamo come rivolgerci al mondo e a Dio.

Che non siamo noi a parlare ma che lo Spirito parli in noi non significa tuttavia che non dobbiamo mettere tutta la nostra intelligenza, capacità e curiosità nell’essere quei testimoni efficaci che Gesù cerca. Non significa abdicare alla ragione o avanzare con pigrizia. Siamo inviati facendo leva sulle nostre forze, le nostre gambe  e la nostra intelligenza. Perché è nella nostra umanità che parla la Parola di Dio, attraverso le nostre contraddizioni e i nostri limiti, attraverso la trasformazione della nostra vita.