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di Luca Baratto

«Il deserto e la terra arida si rallegreranno, la solitudine gioirà e fiorirà come la rosa; [...] allora lo zoppo salterà come un cervo e la lingua del muto canterà di gioia; [...] e nel deserto si aprirà una strada maestra».

Si può gioire nel deserto? In un luogo dove la vita è messa costantemente a dura prova? Si può gioire in un periodo di ansie, pieno di incertezze e di pesi da portare, come quello che stiamo vivendo?

La Bibbia e il profeta Isaia ci dicono di sì: ha senso, anche a costo di essere presi per matti. Perché in effetti Isaia ai suoi tempi cantava la gioia che non c'era. Nelle Scritture la gioia non è però patrimonio degli sciocchi, bensì è un’espressione della fede. Anche quando c’è poco di cui gioire.

Il compito di un profeta, come Isaia, o di un predicatore e anche di un semplice cristiano, non è solo descrivere il presente, l’esistenza nella sua cruda realtà. E’ soprattutto saper descrivere il mondo come dovrebbe essere e come Dio lo può rendere: allora sì, anche nella desolazione si può cantare l'abbondanza e il rigoglio della terra.

La gioia è la capacità di credere in un mondo diverso, è parte della forza d’animo offerta dalla fede nell'affrontare la vita. Chi invece assume la tristezza e sempre si lamenta … è spesso più avanti degli altri nella via del fallimento. Chi dispera di vedersi aprire una strada nel deserto, smette di vivere. Ma chi ha fiducia di poterla ancora trovare, ha la vita davanti a sé.