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di Letizia Tomassone

«O uomo, egli ti ha fatto conoscere ciò che è bene; che altro richiede da te il Signore, se non che tu pratichi la giustizia, che tu ami la misericordia e cammini umilmente con il tuo Dio?»

La dura parola di giudizio riguarda questa volta l’habitat di ogni vivente. L’ingiustizia ambientale fa sì che la terra stessa si rivolti contro l’essere umano. Dio vede l’ingiustizia: le terre depredate, le risorse fossili consumate senza ritegno, le acque inquinate. Dio si schiera con chi muore di inquinamento, con le foreste sradicate e le specie minacciate. La sua parzialità a favore della vita è espressa già negli equilibri delicati della natura, in tutte quelle risorse rinnovabili che permettono la vita. Ed è espressa nella storia: la condanna di ogni violenza e rapina è sanzionata da un giudizio che non concede scampo, proprio come le conseguenze dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici. La stessa bramosia di consumare sempre di più della società industriale attuale di è illustrata in quella "fame che non passa" di cui parla Michea.

Il giudizio però non è fine a sé stesso ma spinge alla conversione. Non abbiamo dubbi sull’orizzonte di giustizia che racchiude il nostro rapporto con il creato nella dimensione della fede. Michea indica l’umiltà, opposta alla smodata bramosia con cui consumiamo il mondo: è il segno del limite che ci è dato. Egli indica anche la misericordia, attenzione a ogni forma vivente: proprio l’opposto della disattenzione frettolosa con cui sprechiamo risorse e vite. Indica la promessa di Dio che rimette insieme i frammenti della nostra vita: il seminare e il raccogliere, non più separati dall’ingiustizia, ma ricomposti dalla grazia divina che mantiene l’equilibrio del pianeta anche attraverso il nostro agire.