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di Enrico Benedetto

«Allora i marinai invocarono il Signore. Gli dissero: "Signore, per favore, fa’ in modo che non scompariamo a causa di quest’uomo, e non imputarci sangue innocente". (...) Poi gettarono Giona a mare e la tempesta si placò. (...) Allora offrirono un sacrificio al Signore. Il Signore inviò un gran pesce che inghiottì Giona, e Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre notti

I bambini e Pinocchio non se ne abbiano a male, ma nel libro di Giona non c’è traccia di balene. Rashi di Troyes, uno dei più celebri commentatori rabbinici medievali, definisce il grosso pesce un “deputato del Signore”, vale a dire nel contempo un messo e un rappresentante. Inghiotte colui che il mare aveva inghiottito, un Giona che di profetico per ora non ha nulla salvo l’essenziale, ovvero la vocazione ad esserlo. Giona vive, ma sparisce dalla vista. Come un vascello spaziale che recuperi un astronauta perso nella notte cosmica, il Missus Dominicus squamato esegue la missione affidatagli. Miracolo subacqueo? Parabola sulla psicologia del Profondo? Regressione protettiva in un utero divino per mostro interposto?

Quella di Giona è una storia biblica, ossia una narrazione Vera prima che storica. Ma vi è anche un miracolo sulla superficie delle acque, su cui - ci ricorda la Genesi - aleggia lo Spirito di Dio. La ciurma, multiculturale e politeista, smette d’invocare dei concorrenziali nella speranza che almeno uno funzioni. Si volgono, tutti, al Signore altrui, quello di Giona. Pregano il Dio Sconosciuto, mostrandoci - en passant - che non è necessario conoscere Dio per pregarLo, giacché è semmai pregandoLo che lo si conosce. Segue un sacrificio incruento di ringraziamento, che sembrerebbe corrispondere al sacrificio umano - ebbene sì - di Giona. Ma a insaputa dell’equipaggio, il Signore d’Israele - che qui eccede Israele, come aveva ecceduto Israele chiedendo a Giona d’andare nell’empia Ninive - lo invalida. E salva l’(auto)condannato Giona. Siamo in sua compagnia.