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di Yann Redalié

«...tu pronunzierai queste parole davanti al Signore, che è il tuo Dio: “Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come straniero con poca gente e vi diventò una nazione grande, potente e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci oppressero e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore udì la nostra voce, vide la nostra oppressione, il nostro travaglio e la nostra afflizione» (Deuteronomio 26,5-7)

Nello stesso soffio, l’orante è invitato a dire la propria fede e la propria identità; chi siamo? da dove veniamo? Siamo ciò che possiamo raccontare di noi, intrecciando spazio e tempo nella narrazione. La fede è una traccia iscritta nella geografia, sul terreno. Dal passato dei padri stranieri ed erranti fino al presente liturgico della festa delle primizie dei frutti della terra, passando per la schiavitù in Egitto e la liberazione per la mano potente e i prodigi del Signore.

La Bibbia è un libro di uscite, più che di entrate. L’esodo è l’archetipo inaugurale dell’identità del popolo. Abramo diventerà padre dei credenti attraverso un’uscita. Esce da Ur dei Chaldei e si mette in cammino per una promessa. Mosè è il liberatore, porta il suo popolo fuori dall’Egitto. L’esilio sarà questo trauma terribile, che fa riscoprire la propria terra come promessa. 

La condizione che esprime l’identità del popolo di Dio è l’uscita, l’esodo. Ma l’uscita diventa itinerario. Non si tratta solo di lasciare una terra ostile: si traccia un itinerario significativo di liberazione, di impegni nuovi, di vita rinnovata. Come? Raccontandolo e ri-raccontandolo, di generazione in generazione, ogni volta integrando nuove esperienze. L’uscita diventa una vita da raccontare a qualcuno, un’identità da condividere con altri, una fede da confessare a tutti.

E questo perché? Perché anche Dio esce, e si fa vicino. Il Signore udì la nostra voce, vide la nostra oppressione, il nostro travaglio e la nostra afflizione (Deuteronomio 26,7). Dio entra nella mischia e l’uscita diventa itinerario significativo, nel quale il popolo, ma anche ciascuno, può dire nello stesso soffio la sua fede e la propria identità.

Questo passaggio dall’esodo all’itinerario significativo ci richiama con forza in una società dove molti si sono incamminati, costretti dalla violenza, dalla necessità economica, o anche mossi dal bisogno di scoprire nuovi orizzonti, dalla speranza di vivere meglio, e sono approdati in terra altrui. Emigranti, migranti, immigrati... La promessa è che tutti questi esodi possono diventare itinerari, percorsi significativi che ciascuno potrà raccontare ad altri e anche ai propri figli nella durata. Ma anche noi, che abbiamo spesso l’impressione che il suolo ci scappi sotto i piedi, siamo invitati a scegliere l'itinerario. L’identità diventa narrativa per poter integrare il cambiamento, la mutazione nella coesione di una vita.

La vita di ciascuno e di comunità diverse diventa un tessuto di storie raccontate a più voci e a più colori.