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di Paolo Ribet

«Quand'io considero i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai disposte, che cos'è l'uomo perché tu lo ricordi? Il figlio dell'uomo perché te ne prenda cura?»

«L’uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante. Non occorre che l’universo intero si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma quando l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe pur sempre più nobile di ciò che lo uccide, dal momento che egli sa di morire, e il vantaggio che l’universo ha su di lui; l’universo invece non sa nulla». Queste parole di Blaise Pascal, contenute nei suoi «Pensieri», danno il senso della potenza e della meraviglia che sgorgano dal Salmo 8. Si riconosce ammirati la grandezza e lo splendore del Creato, ma con maggiore meraviglia si vede la dignità che all’essere umano, pur nella sua piccolezza e debolezza, viene affidata.

Nel dibattito recente sull’ecologia, il contributo del pensiero cristiano ha portato diverse affermazioni molto belle e, per quanto ne so, originali rispetto al rapporto fra l’essere umano e il suo ambiente. Una di queste è che i concetti di “Creazione” e di “Natura” non sono la stessa cosa: parlare di creazione significa parlare di un atto d’amore di Dio, di un Suo progetto. Quando affermiamo che siamo immersi nella creazione non diciamo semplicemente che abitiamo in mezzo alla natura (i boschi, gli animali e gli uccellini) – significa che siamo partecipi di un atto di amore, di un progetto di Dio per il mondo. Gli orizzonti cambiano immediatamente e l’idea stessa di ecologia assume una valenza più ampia.

Il Salmo 8, col riconoscimento centrale dell’essere umano nell’atto creativo di Dio, diventa dunque un appello all’umanità perché sappia continuare il progetto di armonia intessuto da Dio nel suo amorevole atto creativo.