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di Sabina Baral

Intervista al nuovo direttore dell’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della CEI alla vigilia del prossimo convegno ecumenico di Milano

Torre Pellice, 13 Novembre 2018 

Un creato da custodire, da credenti responsabili, in risposta alla Parola di Dio. Questo è il tema generale attorno a cui si svolgerà, dal 19 al 21 novembre a Milano, il convegno dal titolo “Il tuo cuore custodisca i tuoi precetti (Pr 3, 1)”. Un convegno ecumenico organizzato dall’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso (UNEDI) della CEI in collaborazione con la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), la Sacra arcidiocesi ortodossa d’Italia, la Diocesi romena ortodossa, la Chiesa apostolica armena, la Diocesi di Roma del Patriarcato copto ortodosso e la Chiesa d’Inghilterra.

Come quelli delle scorse edizioni (Trento 2016 e Assisi 2017), anche questo appuntamento è il frutto del lavoro congiunto di molte chiese cristiane.

Tra i relatori evangelici si segnala la presenza delle pastore Dorothee Mack e Letizia Tomassone.

Un traguardo importante di cui abbiamo parlato con don Giuliano Savina, nuovo direttore dell’UNEDI a partire dall’ottobre scorso.

Savina, milanese, 55 anni, ha preso il posto di don Cristiano Bettega. Parroco di Greco a Milano, in questa veste è stato tra i promotori della trasformazione dell’ex cinema parrocchiale in quello che è diventato il Refettorio Ambrosiano, la mensa solidale inaugurata in occasione di Expo 2015, che costituisce uno dei simboli dell’impegno della Chiesa ambrosiana sul fronte della condivisione alimentare e della lotta allo spreco.

Questo terzo convegno è un segno tangibile della comunione che lega le chiese cristiane, un cammino contrassegnato dalla gioia e dalla speranza. Come si può parlare di gioia e speranza oggi e come intende dar seguito a questa tensione nell’incarico che ha da poco assunto?

Ciò che ha caratterizzato i convegni UNEDI negli ultimi anni è proprio il fatto di averli pensati, elaborati, condivisi e realizzati insieme alle sorelle e fratelli delle diverse confessioni cristiane. Questo è un fatto, un grande dono che le chiese testimoniano, cioè che insieme è possibile trovarsi per pensare, per confrontarsi e per operare in questa nostra Italia portando il nostro contributo. Ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato (1Gv 1,1), queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta (1Gv 1,4). Quello che accade durante i convegni è un contagio positivo di fraternità/sororità che non cancella le differenze, ma permette in modo virtuoso di far sì che siano contagiosamente illuminate dalla Grazia sentendo e gustando un’esperienza di comunione che è quella che lo Spirito mette nei cuori e nelle menti. Convenire insieme è anzitutto la gioia di stare gli uni accanto agli altri, di ascoltarsi reciprocamente progettando qualcosa che ci aiuta a guardare avanti con speranza e coraggio. Insieme siamo chiamati ad affrontare le sfide della vita per diradare le nebbie della paura che sembrano predominare il momento presente, portando luce nelle tenebre con il coraggio che ci viene da Colui che ha vinto la morte. Noi siamo chiamati a essere i testimoni del Risorto e oggi più che mai ci è chiesto di collaborare insieme per portare quella speranza che è stata riversata nei nostri cuori e che dobbiamo trasmettere con tutta la nostra forza, spem contra spem: insieme!

Lei è stato parroco di un quartiere di periferia, al confine con la Stazione Centrale di Milano. Per il suo impegno al servizio del prossimo ha anche ricevuto l’Ambrogino d’Oro nel 2016. L’ecumenismo può divenire cifra di accoglienza?

È proprio abitando in questo territorio che ho imparato a guardare la vita e affrontare le vicende della vita condividendole con chi qui abita. La ricchezza di un territorio sta nell’affrontare insieme anzitutto le fragilità presenti dentro le quali si può conoscere un modo nuovo di vivere. L’ecumenismo è un metodo straordinario che ti chiede la disciplina di non chiuderti in te stesso, ma di guardare in faccia, insieme all’altro, la realtà. La metodologia ecumenica educa a uno stile di vita che non tradisce le attese chiuse nel cuore, ma le educa verso un progetto promettente. La metodologia ecumenica si fonda su tre verbi: vedere, giudicare, agire. Per vedere occorre imparare ad ascoltare. L’autentico ascolto noi lo possiamo fare ponendoci in atteggiamento docile verso la Parola di Dio che illumina e scuote le nostre coscienze; se questo viene fatto insieme accadono cose nuove. Un autentico ascolto della Parola di Dio produce una luce interiore che ti permette di avere una visione nuova della storia e della realtà, aprendoti a prospettive coraggiose che si devono tradurre in esperienze concrete, in piccoli passi, promettenti e incoraggianti che convincono nel constatare che è possibile: è qui che la speranza è più forte.

Le chiese cristiane oggi sono chiamate ad abitare uno spazio denso di sfide e contraddizioni con molte persone che vivono ai margini. Come si dialoga con le periferie esistenziali del nostro tempo?

Questo dialogo con le periferie dobbiamo e possiamo farlo insieme. Sono testimone che questo è possibile. La stima e la fiducia che ho vissuto in questi anni hanno portato frutti buoni nei quartieri, tra le case. Il vicino di casa copto, filippino, salvadoregno, cinese, arabo è anzitutto una vita da rispettare e da amare, soprattutto quando presenta fragilità che chiedono l’urgenza di un intervento perché al limite della dignità. Qui le Chiese sono chiamate insieme a dare il meglio di ciò che sono per portare misericordia e giustizia, che si traduce “nell’aver e nel prendersi cura di”: quando questo viene fatto si tocca con mano un modo nuovo di vivere. Nelle periferie esistenziali ti è chiesto di giocarti fino in fondo, non ti è chiesto qualcosa, ma la vita. Quando ti è chiesta la vita non puoi accontentarti di qualche riflessione generale e generica, lì sei chiamato in prima persona a tradurre nel linguaggio di quella situazione ciò che sei e in chi hai riposto il senso della tua vita. E’ da questo che la gente capisce di che stoffa sei fatto e di che stoffa è la comunità cristiana. Se questo avviene insieme a un copto o a un metodista o battista o valdese, così come ho vissuto molte volte negli ultimi anni, la forza del Vangelo si manifesta in tutto il suo splendore. Non c’è gioia più grande che vivere il Vangelo.