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di Alberto Corsani

Una dozzina di operatori della comunicazione e di responsabili di chiese di diversi paesi (Svizzera Romanda, Francia, Belgio e chi scrive, per l’Italia) hanno partecipato il 26-27 marzo scorso, a Losanna, alla sessione "Religioni e media, una coppia impossibile", organizzata dalla Conferenza delle Chiese protestanti dei Paesi latini d’Europa (CEPPLE), che riunisce 26 Chiese. Lo snodo principale attorno al quale si è sviluppata la discussione è stato quello dei rapporti fra comunicazione all’interno delle Chiese, tra una Chiesa e l’altra, tra le Chiese dei diversi Paesi e tra le Chiese e le rispettive società: ognuno di questi fronti richiede, come è ovvio, un insieme di risposte il più possibile coordinate.

Le Chiese che aderiscono alla CEPPLE (per l’Italia la Chiesa valdese, le Chiese metodiste e le Chiese battiste), in modi diversi e secondo le proprie specificità, sono accomunate – con l’eccezione delle Chiese svizzere – dal fatto di trovarsi in una situazione di minoranza, anche se le proporzioni numeriche di questo «essere minoranza» variano molto a seconda dei casi. Così, lavorando nel settore dell’informazione da quasi trent’anni, chi scrive ha notato che molte delle domande poste fra i partecipanti sono all’ordine del giorno nelle nostre Chiese praticamente «da sempre»: la necessità di conciliare un’informazione destinata all’interno delle comunità; la necessità di parlare anche ai concittadini, in particolare in un’Italia a stragrande maggioranza cattolica; i dubbi di fronte alle richieste della società stessa e dei suoi organi d’informazione, che chiedono una posizione chiara ed esplicita di fronte ad argomenti scottanti. In questi ultimi tempi si tratta soprattutto di materie etiche e/o bioetiche, in altri momenti fu la volta di questioni più direttamente politiche.

È altrettanto chiaro che non esiste una risposta univoca: un operatore dell’informazione può riportare delle decisioni prese dalle nostre Assemblee (nel quadro della «gerarchia di assemblee» che ispira la nostra linea decisionale); ovvero riferire su documenti di studio elaborati da commissioni nominate per questa funzione; oppure ancora riportare l’opinione di singoli fratelli e sorelle che non possono rappresentare una posizione «ufficiale» della Chiesa. Ora, risposte di questo tipo generano il panico negli ambienti giornalistici «esterni»: stampa scritta, radio, tv – mentre la comunicazione via web è per sua natura abituata e connaturata a una estrema pluralità di voci – hanno bisogno di disegnare delle «mappe degli schieramenti» (pro o contro l’eutanasia, per dirne una), mappe spesso irrispettose delle sfumature indispensabili, invece, in una discussione franca e meditata.

Quanto le «attese» della società siano importanti, ma trovino, al tempo stesso, risposte insufficienti, anche per colpa di giornali e agenzie stampa, è stato messo in chiaro dalla tavola rotonda organizzata dall’agenzia ProtestInfo, con la conduzione del direttore Michel Kocher, che festeggiava i propri 15 anni di attività, da quando è subentrata alla precedente agenzia Spp. Con il giornalista di ProtestInfo Joël Burri erano presenti giornalisti delle testate locali, di Ginevra e dintorni, ma anche una Consigliera di Stato, Béatrice Métraux (Dipartimento Istituzioni e Sicurezza del Cantone di Vaud) e un sociologo delle religioni, di origine mennonita, Philippe Gonzalez. Da loro i partecipanti alla sessione Cepple hanno avuto un riscontro e in parte una conferma: una società secolarizzata – è emerso dalla serata – perde anche il proprio lessico, se si tratta di affrontare le questioni religiose, e ai giornalisti tocca reinventare le parole per rendere chiari dei concetti che per chi sta «dentro» sono quelli della fede; e per chi sta «fuori» sono totalmente impalpabili e non significativi (così – tra l’altro – accade che la sinistra europea non riesca a spiegarsi le motivazioni interiori, profonde, che animano l’integralismo religioso, fino alle sue manifestazioni estreme). Si verifica un paradosso, ha spiegato Gonzalez: il maggior successo nelle trasmissioni tv con rappresentanti delle religioni si hanno non tanto quando si parla di religione, o dei contenuti della fede, ma quando si affronta una delle tante angosce che caratterizzano la società nel suo complesso (di nuovo, l’etica, il fine-vita o il sesso, Charlie Hebdo). Ci si attende una qualche parola dalle comunità di fede: a volte arriva, possiamo dire noi, a volte no. Il peggior caso è quando la comunità di fede ripete quello che la società vuole sentirsi dire: ma questo è un problema che non riguarda i soli operatori dell’informazione, ma investe le Chiese, le comunità, le Facoltà di Teologia, la predicazione stessa; e nessuno può tirarsi indietro.

Come prevedibile, non sono state tirate delle vere e proprie conclusioni: spetterà al gruppo di continuità (di cui fa parte la pastora Claire Sixt-Gateuille, ospite all’ultimo Sinodo valdese per conto dell’Eglise Protestante Unie de France) dare un seguito alla riflessione, a cui è particolarmente interessata Riforma, proprio per l’articolazione che da alcuni mesi caratterizza la sua attività in quattro direttrici (settimanale-mensile-portale web-newsletter), con almeno altrettanti potenziali interlocutori da raggiungere.

31 marzo 2015