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Il nuovo numero della rivista Confronti, in uscita ad ottobre, propone una lunga intervista con il moderatore della Tavola valdese Eugenio Bernardini. Nel testo, il pastore descrive lo stato di salute delle chiese valdesi e metodiste a pochi mesi dalla conclusione del sinodo, soffermandosi inoltre sui temi dell'ecumenismo e dell'accoglienza. Ampio spazio viene inoltre dedicato alla delicata situazione internazionale e alle celebrazioni in vista del quinto centenario della Riforma protestante.

E’ finito il Sinodo, in che stato di salute si trova questa “unione” di chiese?
Come tutte le istituzioni ecclesiastiche storiche d’Europa, anche la nostra subisce un calo numerico di membri, di partecipazione alla vita della chiesa, di udienza sociale. E’ un fenomeno tipico del nostro continente, attraversato da forti spinte di secolarizzazione e dalla trasformazione in un continente sempre più multiculturale e multireligioso. Ma ci sono segnali di ripresa importanti, come la settimana di evangelizzazione che nello scorso maggio ha visto molte comunità locali sperimentare forme nuove di comunicazione e presenza al di fuori delle mura ecclesiastiche. Siamo convinti, infatti, che ci sia anche oggi una forte domanda di spiritualità che le forme tradizionali della presenza cristiana non riescono a cogliere se non marginalmente. Le nostre chiese, con la loro caratteristiche di essere medio piccole e con una forte impronta comunitaria e democratica possono essere un luogo particolarmente adatto per chi vuole iniziare o riprendere il cammino della fede. Bisogna però che riscopriamo tutti, cristiani e cristiane delle varie chiese “storiche”, i tesori della fede e della spiritualità che ci hanno portato fin qui.

Papa Francesco ha mandato per la prima volta un saluto ufficiale. A che punto siamo con la questione ecumenica?
Intanto bisogna dire che in campo protestante la spinta ecumenica non si è mai fermata. La collaborazione tra le diverse chiese protestanti ha portato ovunque nel mondo una crescita di esperienze di fraternità sempre più condivisa, di riconoscimenti reciproci e anche di unioni strutturate di chiese. Eugenio BernardiniE’ tra le varie confessioni, soprattutto tra cattolici e protestanti, che ci si è un po’ fermati. Un po’ perché le difficoltà interne di tutti che dicevo prima e che hanno fatto cambiare la scala delle priorità, un po’ perché il confronto teologico, giunto proprio a quei nodi cruciali che divisero la cristianità d’Occidente 500 anni fa, non è stato in grado di fare passi veramente importanti nella direzione dell’unità nella diversità. Papa Francesco ha invece proposto un registro diverso al dialogo sottolineando l’urgenza di un impegno comune di tutti i cristiani per contrastare le varie sofferenze della società e del mondo e ogni forma di discriminazione, soprattutto religiosa. E lo sta facendo con spirito fraterno e informale, direi come “scendendo dalla cattedra” e mischiandosi con le persone e anche i cristiani “comuni”. Un processo di “desacralizzazione” della figura del papa che non può che far bene anche al confronto ecumenico e che noi apprezziamo moltissimo. Come abbiamo apprezzato il pensiero che ha trasmesso al Sinodo delle chiese metodiste e valdesi.

Il mondo è martoriato dai conflitti. Il Sinodo su questo si è espresso?
Ha manifestato la sua inquietudine e angoscia per i crescenti conflitti armati e le violenze in varie aree del mondo. Ma ha anche riconosciuto l’incostanza del proprio impegno a fare dell’Italia un Paese costruttore di pace. Il riferimento è prima di tutto alla costruzione e al commercio delle armi, che continua a essere parte significativa del nostro sistema industriale e commerciale. Le armi sono costruite e vendute perché prima o poi saranno usate, e non solo come difesa, ma anche come offesa. Tutto ciò accade e continua ad accadere e gli interessi economici, politici e strategici prevalgono su ogni altra considerazione etica e umanitaria.
Purtroppo. Ma il Sinodo si è riferito anche alla nostra politica estera, timida e incerta, e ha chiesto l’apertura di corridoi umanitari e di iniziative diplomatiche coraggiose e ampie per proteggere le popolazioni civile perseguitate e violentate. E infine ha rinnovato il proprio impegno perché prevalga sempre il dialogo e non l’intolleranza, il settarismo, l’integralismo, spesso giustificati nel nome di Dio. Le politiche di pace e di giustizia richiedono grande volontà, costanza e speranza, ma sono le uniche in grado di dare risposte vere alle tensioni e conflitti che covano o si manifestano nel mondo.

Il 2017, quinto centenario della Riforma protestante, è ancora un po’ lontano, ma non tanto: che cosa rappresenta questo appuntamento per le vostre chiese?
Noi vorremmo ricordare i 500 anni della Riforma protestante come un rinnovato invito a ricercare, come cristiani, l’essenziale dell’annuncio evangelico, E cioè: la fiducia in un Dio buono che vuole la nostra salvezza e che ama ciascuno di noi, come ha voluto dimostrare nell’insegnamento e nella vita di suo Figlio Gesù; la fiducia che lo Spirito Santo è all’opera ancora oggi perché la sua chiesa porti questo buon annuncio in povertà, semplicità, e in solidarietà con i poveri in senso materiale e spirituale. Per questo cercheremo di farne anche un’occasione di comunione tra le varie chiese, prima di tutto tra quelle radicate in quella Riforma che ricorderemo con riconoscenza, poi con quelle nate successivamente e che, sebbene in modo diverso, si riallacciano a essa e infine, ci auguriamo, anche con la Chiesa cattolica. Perché, ovviamente, non vogliamo celebrare una divisione ma affermare che, nonostante le divisioni e sofferenze del passato, oggi il mondo si aspetta dai cristiani una profonda unità di intenti e di azione.

Con le migrazioni, l’Italia sta diventando sempre più multireligiosa. Cosa fa la sua chiesa in questo campo?
Agiamo da oltre vent’anni in due direzioni: da una parte, diamo un aiuto immediato, secondo le nostre possibilità, a chi giunge in Italia da esperienze spesso drammatiche, dall’altra cerchiamo di integrare nelle nostre chiese coloro che fanno parte di chiese sorelle, metodiste e presbiteriano-riformate. E quando parlo di integrazione non intendo assimilazione, perché in questo cammino, che chiamiamo “Essere chiese insieme”, avviene un processo di cambiamento sia nella componente italiana sia nella componente immigrata.
Recentemente abbiamo fortemente sostenuto anche “Mediterranean Hope”, il nuovo progetto della Federazione delle chiese evangeliche italiane che unisce gli aspetti dell’accoglienza al monitoraggio delle informazioni e all’iniziativa politica sulla questione dei flussi immigratori. Insomma, per noi si tratta di un impegno non episodico, legato alla convinzione che il cambiamento in senso multiculturale e multireligioso dell’Italia e dell’Europa è un dato permanente e non transitorio, che richiede maggiore apertura mentale e una laicità profonda delle istituzioni pubbliche.

Tratto da Confronti, ottobre 2014